sabato 17 maggio 2014

L'orologio di Gramisci


San Sosti: la torre dell'orologio 




di Francesco Capalbo


La skyline di San Sosti
Tutti i luoghi, non solo le grandi città, così come gli esseri viventi, hanno un loro profilo che li rende unici e distinguibili.
C’è un’unica differenza: la silhouette di una metropoli è in continua evoluzione, poiché  incessante è lo sviluppo della sua vita materiale che soggioga interi spazi costringendoli a rapide trasformazioni; la sagoma di un piccolo paese subisce invece mutamenti episodici, all’unisono con la flemma che pervade l’esistenza dei suoi abitanti.
La skyline di San Sosti per esempio, si identifica col campanile della Chiesa di Santa Caterina d’Alessandria, vergine e martire, che sorgendo sopra una sporgenza, è raggiungibile visivamente da ogni punto del borgo. La facciata esterna della Chiesa nel corso degli  anni ha subito pochi cambiamenti: ancora oggi si ha la possibilità di ammirarla  con le stesse fattezze di quando erano in vita i nostri bisnonni. L’ultima volta che essa è stata ritoccata fu  nel 1914, esattamente cento anni fa.
All’epoca il tempio era sprovvisto sia della torre campanaria, che di un orologio pubblico. L’Amministrazione Comunale, presieduta dal farmacista don Gaetano Guaglianone, pensò bene di dare l’incarico ad un agrimensore, don Antonio Guaglianone, affinché redigesse un progetto di campanile. Per l’incombenza fu versata la somma di trecentocinquanta lire.
Il pubblico consesso in quegli anni annoverava tra le sue fila finanche un prete, don Pasquale Guaglianone, che ebbe la possibilità di candidarsi alla carica di consigliere comunale in virtù del clima favorevole alla collaborazione tra clericali e moderati, instauratosi col Patto Gentiloni nel 1913.  
Dalla complicità dei tre affini, venne fuori l’idea di realizzare un torrione sulla cui cima avrebbe trovato posto un prezioso orologio.
Costruita la torre, il marchingegno che scandiva le ore venne fornito per trecentonovantasei lire e ottantanove centesimi, da uno stravagante  personaggio: Salvatore Gramisci. L’aurea di eccentrico era stata affibbiata a quest’ultimo per via delle sue geniali invenzioni. Era riuscito a costruire una cetra con 49 corde; 25 per la mano destra e 24 per la mano sinistra. Anche l’orologio che vendette al Comune di San Sosti era stato progettato e costruito da lui. Esso funzionava con due ruote dentate e mezza e con un solo peso motore.  Di orologi  Il Gramisci ne inventò  anche di più complicati e alcuni di questi vennero identificati col nome di  “Sistema Gramisci Brevettato”. Uno in particolare, a mezzogiorno in punto, pare lasciasse partire un colpo di bombarda udibile a chilometri di distanza. Con i suoi singolari arnesi, l’inventore ebbe la possibilità di partecipare  ad una edizione dell’Esposizione internazionale di Parigi, della quale venne nominato persino membro della giuria d’onore. Genio calabro a tutto tondo, Salvatore Gramisci nacque nel 1881 a Plataci, in provincia di Cosenza, nello stesso luogo che anni prima aveva dato i natali agli antenati di Antonio Gramsci.
La torre campanaria di San Sosti fu inaugurata nel febbraio del 1914 ed a suggellare l’avvenimento rimane una corrispondenza apparsa su Cronaca di Calabria, che porta la data del 24 febbraio 1914: “ Giorni or sono si è inaugurato il nuovo orologio da torre a due magnifici quadranti di porcellana soprastante al campanile della Chiesa Matrice, spicca in una bene costruita torretta merlata e funziona assai egregiamente con piena soddisfazione del pubblico. Il merito d’aver avuto noi un riuscitissimo lavoro va devoluto all’attuale sindaco farmacista Gaetano Guaglianone, il quale degnamente coadiuvato dal segretario capo Vincenzo Straticò nulla tralascia nell’interesse dei suoi amministrati. Nel tributare le più larghe lodi all’egregio farmacista Guaglianone per lo zelo con cui presiede la cosa pubblica, ci aspettiamo da lui tutti quegli indispensabili miglioramenti che il paese attende facendo affidamento sulla sua energia e sulla sua encomiabile diligenza”.
Dopo l’inaugurazione, una folla di vecchiette coi loro scialli che sembravano vele nere gonfiate dal vento, stazionò per giorni e giorni nello spazio prospiciente la Chiesa Matrice, in attesa che ogni quindici minuti il miracolo si compisse e che l’orologio iniziasse a battere prima  le ore e poi i quarti. Constatavano incuriosite e nello stesso tempo spaventate, come la modernità con le sue diavolerie avesse conquistato anche un borgo irraggiungibile qual era a quei tempi San Sosti.
Nel corso degli anni il macchinario fu  affidato alle cure di persone che ad esso si votarono con totale dedizione e fedeltà: il primo fu Giovanni Cauterucci che,  provenendo da una famiglia di fabbri, venne ritenuto “coram populo” in grado di decifrare la perfetta sincronia dell’opera  progettata da Salvatore Gramisci.
Alcuni anni dopo, nell’estate del 1929, quando ormai Giovanni Cauterucci non era più in grado di salire per le ripide scale della torre campanaria, le ruote dentate dell’orologio si incepparono e per molto tempo in paese non fu possibile udire i battiti del tempo.  Al suo capezzale fu chiamato un imberbe artigiano che ne curò il malanno  e lo rianimò. Quando l’orologio ritornò  a  segnare le ore, al giovane demiurgo venne reso un pubblico elogio dalle colonne di Cronaca di Calabria: “Finalmente l’orologio Comunale di cui sentivamo impellente il bisogno, per merito esclusivo dell’intelligente giovane meccanico Alfredo Capalbo, funziona. Vada a Capalbo il nostro “bravo” di cuore”.
***
Del gingillo di Gramisci oggi rimane ben poco. La torre campanaria però è sempre la stessa e dà l’idea di una piccola enclave; assoggettata alla Chiesa, essa di fatto è legata al Comune di San Sosti che ne dovrebbe curare la manutenzione quotidiana. Questo particolare è sottolineato anche dal modo col quale i sansostesi indicano l’orologio : per tutti è “l’orologio da Cumuni”.
I due quadranti dell’orologio ora non sono più di ceramica, ma di semplice vetro e sono usurati dalle intemperie; sopra di essi le ore non sono più leggibili. La porticina del ricettacolo in legno che custodisce le ruote dentate è in parte scardinata; da una finestra della torre campanaria è comparsa un’ antenna che promette, mendace, una connessione internet velocissima.
Agostino
Chissà cosa direbbero, se riportate in vita, le vecchiette che cento anni fa salutarono “u drilloggiu”, nel constatare che altri miracoli si sono nel frattempo succeduti e che essi però non hanno mitigato la pandemia di degrado che affligge i nostri paesi.
Chissà cosa escogiterebbero, per riportare ai vecchi fasti l’orologio, mastru Filippu, Chjrimiddru, Scengagaddru e Gangiulinu u sacristanu che quotidianamente gli diedero la carica e lo unsero di oli rivitalizzanti.
Ora che ha compiuto cento anni, l’orologio è affidato alle cure di Agostino che gli presta la stessa attenzione che serba ai vecchietti del paese. Agostino infatti fa il barbiere e quotidianamente si reca a casa di chi non ha più forza nelle gambe per tagliar loro i capelli.
Per una ventura bizzarra, egli è divenuto anche l’unico confidente di un  centenario che si ostina a battere le ore e i suoi quarti, per ricordarci che il tempo è un amico discreto, ma anche inesorabile. 


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