martedì 21 luglio 2020

San Sosti : la (s)grammatica del razzismo



di Francesco Capalbo


Giuseppe Ritondale è uno scultore di San Sosti che vive a Milano.
A prima vista potrebbe apparire che le sue opere trovino ispirazione solo da vicende legate alla comunità che lo ha generato.
In realtà interpretano il dolore degli ultimi, dei senza patria, dei reietti della storia.
Trasfigurano il dolore che risiede nell’ universo, rivelano al mondo le lacrime ed il sangue generati dalla arroganza dei potenti.
Giuseppe in questi giorni è a San Sosti per visitare l’anziano padre.
Sul cruscotto della sua macchina ha trovato un biglietto di “benvenuto”.
La persona di Giuseppe è indicata con aggettivi considerati alla stregua di ingiurie: comunista, nero, villengiante, no Global.
 Milano è pensata come la capitale del Covid 19 e non andiamo oltre…
Il documento tagliente e sgrammaticato merita la esecrazione di tutta la comunità.
Nello stesso tempo documenta l’atrofia del sentimento, l'eclissi dell’intelligenza, la gratuità dell’offesa, determinata dalle nuove forme di razzismo che ormai dilagano senza inibizioni né remore morali in ogni parte del nostro paese.


sabato 18 luglio 2020

Tabernacoli vuoti




di Francesco Capalbo

Il mio paese ha una vita nascosta. 

È terra madre, protetta da una rocciosa Madonna, romitorio basiliano. Rumorosa Itaca e ingarbugliata Babilonia.

 Nelle sue viscere custodisce narrazioni, immagini, miraggi, sapori, rumori e suoni millenari.Molti dei suoi abitanti, coltivano arti che indagano il profondo dell’animo umano: la scrittura, la poesia, la pittura, la fotografia, la preghiera, la meditazione, l’archeologia, la musica, la gastronomia.

Tuttavia, quello che alberga nei suoi cunicoli non riesce a frantumare la crosta della diffidenza, non entra nei circuiti della condivisione.Non esiste una narrazione collettiva.Lo sguardo dei suoi abitanti non si posa sopra un comune orizzonte.  

Certo, noi sansostesi amiamo diffondere per il mondo il seme di una rappresentazione epica dei nostri luoghi: è una descrizione però irreale, nostalgica e languida nello stesso tempo.Le narrazioni collettive a San Sosti hanno il bisogno della mediazione del vino. La cantina è l’unico luogo nel quale è ancora percepibile il senso del destino comune.  Sensazione episodica, volatile, come lo spirito che la suscita.

La sofferenza per l’assenza di un racconto comune trasuda tuttavia anche dalle realizzazioni materiali, dalle rovine di quello che fu l’intervento pubblico nella nostra comunità.

Tredici “edicole” abbandonate sono diventate la metafora del racconto inespresso. Tabernacoli vilipesi. Manufatti muti e sparsi per tutto il territorio, invocano il diritto di parola.

Utilizziamole per raccontarci senza reticenza i grumi di speranza che albergano nel nostro animo.

Adoperiamole per rivelare a tutti il bello ed il buono che aleggia in un luogo nel quale l’inchiostro dei monaci basiliani alimentava il lume della conoscenza.

Narrare è infatti un verbo affine al termine latino “gnarus” ed indica colui che conosce, che è esperto, che è consapevole e perciò eterno.