sabato 18 luglio 2020

Tabernacoli vuoti




di Francesco Capalbo

Il mio paese ha una vita nascosta. 

È terra madre, protetta da una rocciosa Madonna, romitorio basiliano. Rumorosa Itaca e ingarbugliata Babilonia.

 Nelle sue viscere custodisce narrazioni, immagini, miraggi, sapori, rumori e suoni millenari.Molti dei suoi abitanti, coltivano arti che indagano il profondo dell’animo umano: la scrittura, la poesia, la pittura, la fotografia, la preghiera, la meditazione, l’archeologia, la musica, la gastronomia.

Tuttavia, quello che alberga nei suoi cunicoli non riesce a frantumare la crosta della diffidenza, non entra nei circuiti della condivisione.Non esiste una narrazione collettiva.Lo sguardo dei suoi abitanti non si posa sopra un comune orizzonte.  

Certo, noi sansostesi amiamo diffondere per il mondo il seme di una rappresentazione epica dei nostri luoghi: è una descrizione però irreale, nostalgica e languida nello stesso tempo.Le narrazioni collettive a San Sosti hanno il bisogno della mediazione del vino. La cantina è l’unico luogo nel quale è ancora percepibile il senso del destino comune.  Sensazione episodica, volatile, come lo spirito che la suscita.

La sofferenza per l’assenza di un racconto comune trasuda tuttavia anche dalle realizzazioni materiali, dalle rovine di quello che fu l’intervento pubblico nella nostra comunità.

Tredici “edicole” abbandonate sono diventate la metafora del racconto inespresso. Tabernacoli vilipesi. Manufatti muti e sparsi per tutto il territorio, invocano il diritto di parola.

Utilizziamole per raccontarci senza reticenza i grumi di speranza che albergano nel nostro animo.

Adoperiamole per rivelare a tutti il bello ed il buono che aleggia in un luogo nel quale l’inchiostro dei monaci basiliani alimentava il lume della conoscenza.

Narrare è infatti un verbo affine al termine latino “gnarus” ed indica colui che conosce, che è esperto, che è consapevole e perciò eterno.




3 commenti:

  1. Carissimo Prof. Capalbio vorrei esprimere un mio pensiero su questa sua osservazione, la prima cosa che ho pensato vedendo le foto pubblicate e leggendo attentamente la sua esternazione,alla memoria storica della nostra comunità. Di sicuro in questo momento è decisamente latente.Non c'è futuro senza memoria. Una poesia di Primo Levi scritta nel 1946 pochi mesi dopo la liberazione dal lager nazista di Auschwitz e pubblicata nei primi mesi del 1947 dal titolo "Se questo è un uomo dove sostiene fermamente che l'unica cura contro i mali del mondo è il ricordo, in modo che l'uomo non ripeta gli errori già commessi. Bisogna rapportarsi con il passato unica certezza, poiché non possiamo conoscere cosa il futuro ci possa riservare. Quelle bacheche vuote rappresentano tanti libri nuovi, comprati e mai aperti, tanti quaderni vuoti senza un solco di penna. Il vuoto che aleggia fra le strade, nelle case, nei luoghi di ritrovo è triste. I giovani vivono il presente come unica condizione possibile e ignorano quasi del tutto il passato. Non bisogna accettare passivamente queste barbarie, è necessario ribellarsi, denunciare, far sì che l'ignoranza non prenda il sopravvento. La cultura deve essere trasmessa di generazione in generazione come un luogo privilegiato dei saperi locali e globali.

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    1. Vincenzo Raimondi18 luglio, 2020 21:23

      Faccio fatica a definire chi e più bravo di voi due, i miei migliori complimente e non abbandoniamo il nostro Amato Paesello.

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  2. GRAZIE, Francesco per questa tua breve ed intensa testimonianza.
    Ma hai mai preso in considerazione l'idea di mettere mano alla penna e raccogliere in un volume il "racconto inespresso" del tuo paese ?
    La tua abilità descrittiva e narrativa contribuirebbe a mantenere viva la memoria del luogo natio ai più giovani.
    Saluti!
    Giacomo.

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