Come il desiderio sessuale, la memoria non si ferma mai. Appaia i morti ai vivi, gli esseri reali a quelli immaginari, il sogno alla storia. Annie Ernaux
venerdì 30 novembre 2018
domenica 25 novembre 2018
Il bandolo della matassa
di Francesco Capalbo
Agli organizzatori del convegno di
giorno 24 novembre 2018, dal titolo: “San Sosti: un borgo da Ri… vivere,” va
dato il merito di aver individuato una prospettiva di sviluppo qualitativo, in
sintonia con lo spirito del luogo. Le seduzioni di un turismo fatto di
luccichii e paillettes non incantano più nessuno. Fortunatamente ne sono
affascinati solo pochi sprovveduti e un manipolo interessato di politici e lobbisti,
che vaga per i nostri territori cercando di vendere un improbabile futuro fatto
di hotel a cinque stelle e di campi da golf.
Negli interventi di ieri, in modo
particolare in quello di Fabio Torchia e di Stefano Saetta, ho percepito la
voglia di riabitare i nostri luoghi con sguardi nuovi, non per mitizzare o
rimpiangere il passato ma per continuare a vivere e dare un nuovo valore al
posto in cui si è nati e cresciuti.
Ascoltando Fabio e Stefano mi sono
tornate in mente le parole di Vito Teti, a proposito della “restanza”. Rimanere
in un borgo non può essere sinonimo di conservazione. Non ci è più concesso il
tempo di rimanere per contare le case che nel frattempo si svuotano. Occorre
valorizzare le cose belle che noi abbiamo e Dio solo sa quante e quali sono. Ma
è necessario dare anche il loro giusto valore agli scarti, ai frammenti che
albergano nei nostri borghi, a partire dalla memoria, dalla lingua, dai saperi,
dai suoni, dai prodotti della terra e dell’artigianato che sono state rifiutati
negli anni in cui si celebravano visioni quantitative di sviluppo.
Il processo è lungo. Dare
propulsione alla vita di un borgo è un atto creativo che necessita di essere
meditato, studiato e abbisogna anche di una “governance del recupero”.
Occorre a tal proposito
abbandonare l’idea ingenua e romantica che le vicende umane (e quindi anche il
recupero di un borgo) evolvano e si realizzino solo perché evocate di tanto in
tanto con convegnistica veemenza. Non esiste nessuna lampada di Aladino che
possa esserci di aiuto e nella realtà le cose accadono solo perché qualcuno si
prodiga per farle succedere.
Assumersi e conoscere “il lato
oscuro, le conseguenze di quello che non abbiamo saputo o potuto fare” è
anch'essa attività propedeutica ad ogni ricostruzione.
Il passato (ma anche il
presente!) del “borgo” di San Sosti ci
consiglia di sperimentare inedite ma sane forme di relazioni umane. Se non si
percepisce che i destini di tutti noi
sono interdipendenti è come se provassimo l’insano piacere di ballare sull'orlo
di un vulcano.
Giovanni De Giacomo notava più di
un secolo fa che la storia delle comunità dell’Esaro “è una vecchia storia
fatta di zuffe impudiche che di volta in volta si riacutizza”. Lo stesso
etnologo invitava a prendere coscienza di questo lato oscuro del nostro
carattere collettivo. Incitava (a quanto pare inascoltato!) i nostri nonni a
sperimentare il fascino che emanano le persone quando cancellando odi profondi
e ancestrali rancori, costruiscono il bene per loro stessi ma anche per gli
altri.
Ecco il bandolo della matassa: i
nostri borghi per sperimentare una nuova vita, necessitano prima di ogni altra
cosa dell’azione di cittadini che siano innamorati del bene … comune. Gente di
buona ed onesta volontà!
mercoledì 21 novembre 2018
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