Come il desiderio sessuale, la memoria non si ferma mai. Appaia i morti ai vivi, gli esseri reali a quelli immaginari, il sogno alla storia. Annie Ernaux
venerdì 23 aprile 2010
domenica 11 aprile 2010
Sacre lagnanze
Il Santuario del Pettoruto da sempre è stato oggetto di “particolari brame” da parte del notabilato e degli amministratori del luogo; nello stesso tempo la popolazione di San Sosti lo ha sempre degnato di attenzioni speciali.
I sansostesi, dovunque si trovassero, hanno sempre percepito con soddisfazione il minimo miglioramento delle strutture ricettive del “sacro delubro”, sostenendolo con laute offerte. Critiche feroci ed in alcuni casi immotivate sono state anche dispensate a quanti, pur incamerando le donazioni, non si prodigavano per renderlo accogliente o per migliorarne la viabilità.
Nel 1965, Don Francesco Amoroso allora rettore del Santuario, “di fronte alle voci giunte anche al clero della diocesi” a riguardo del ritardo con il quale procedevano i lavori di rimodernamento del Santuario, si sentì in obbligo di rilasciare pubbliche dichiarazioni al “Mattino di Napoli”.
Leggendo l’articolo, di seguito riportato, si ha la possibilità di riflettere sui ritardi storici che hanno segnato in maniera devastante le nostre periferiche terre. Mentre in Italia si celebravano gli anni del boom economico, figurato nell’iconografia mitologica con l’immagine scorazzante della “ Fiat Cinquecento”, i pellegrini erano costretti a raggiungere il Pettoruto inerpicandosi su mal messi sentieri.
La Cassa del Mezzogiorno (citata nell’articolo), che con i suoi fiumi di denaro avrebbe dovuto dotare il territorio meridionale delle necessarie infrastrutture, alimentava proprio in quegli anni le clientele di una misera classe politica di cui, ai nostri giorni, si tenta di celebrare in maniera maldestra e inspiegabile la beatificazione toponomastica.
In via di espletamento il primo lotto di lavori al Santuario del Pettoruto.
Viva soddisfazione da parte della popolazione sansostese e dei pellegrini
San Sosti 30 agosto 1965
Siamo quasi alle porte dei grandi festeggiamenti che, annualmente, dall’1 all’8 settembre, si svolgono al Santuario della Beata Vergine Incoronata del Pettoruto di San Sosti. La via mulattiera che s’inerpica su per il Sacro Monte, vedrà diecine e diecine di migliaia di pellegrini andare a rendere omaggio alla miracolosa Madonna.
Moltissimi lamentavano la mancanza di locali adatti per accogliere i pellegrini, la mancanza di alcuni servizi importanti ed indispensabili, la relativa capacità del Tempio. Da diverse parti si muovevano della critiche all’amministrazione del Santuario che non spendeva gli oboli offerti alla Madonna annualmente.
Di fronte a tanto, di fronte alle voci giunte anche al clero della diocesi, Mons. Amoroso, rettore del Santuario ci ha rilasciato delle dichiarazioni che è bene riportare.
Da anni, gli eccellentissimi Vescovi della Diocesi, hanno provveduto a versare i proventi del Santuario su un libretto bancario presso la locale Cassa di Risparmio di Calabria e Lucania allo scopo di riunire una congrua somma capace di far affrontare la mole poderosa di lavori razionali e necessari a portare il Sacro Luogo in condizioni da poterne fare un luogo veramente meta oltre che di preghiera anche di interesse turistico. Ma delle ragioni pratiche fecero rimandare i lavori.
L’inizio, avuto alcuni anni fa, della strada che avrebbe portato direttamente al Santuario fu una delle ragioni.
Trasportare il materiale edile a dorso di mulo o di asino sul posto, avrebbe costituito il doppio della spesa. Si aspettava che la carrozzabile venisse completata ma, ormai da anni, i lavori da parte della Cassa per il Mezzogiorno sono sospesi e chissà ancora quanti anni bisogna attendere.
Di fronte a tale problema, lo scorso anno venne deciso di sistemare in un certo qual modo, la vecchia strada mulattiera in modo da potervi transitare almeno dei camion di media portata.
Alcuni mesi fa, venne dato il via a dei lavori per un importo di cinquanta milioni, la maggior parte dei quali si trovava depositata presso la Cassa di Risparmio. Per il resto, si è impegnato il solerte ed insonne vescovo S.E. Mons. Rinaldi, fiducioso nella Provvidenza. Dall’avviso sacro, affisso di recente, nei vari centri della diocesi appare quanto è stato fatto.
La chiesa è stata ampliata con un’ Abside che permette ai pellegrini di muoversi con più agio nel Sacro luogo. Nell’abside troneggia un maestoso altare secondo le nuove norme conciliari. Il Trono della Vergine Santa è stato snellito e completato con gusto, recinto di balaustra e adornato di pavimento in marmo giallo di Siena.
L’intera chiesa è stata pavimentata in marmo di Carrara. Dietro l’abside si profila un imponente complesso in cemento armato con ampie sale per le confessioni, una luminosa sagrestia, sala per amministrazione della S. Cresima e tutti gli annessi per l’abitazione del clero che zela l’onore del Santuario. I locali riservati ai pellegrini sono stati, in parte, anche rimodernati e dotati di servizi per venire sempre maggiormente incontro alle necessità dei fedeli. I lavori continuano e continueranno fino al completamento ed alla sistemazione di tutta l’area del Santuario. Quest’anno i fedeli più numerosi saliranno le sacre pendici del Pettoruto.
Il Mattino 31 Agosto 1965
Le 2 foto sono tratte dal libro “Il Pettoruto”di Francesco Marasco e Giuseppe Marasco.
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giovedì 1 aprile 2010
Viae Crucis
di Giuliana Monforte
Il ventotto di marzo, domenica delle Palme, a Catanzaro nel corso di una commovente cerimonia sono stati commemorati i soldati austriaci deceduti in Calabria tra il 1918 ed 1l 1919. La funzione si è svolta nel Cimitero del Capoluogo della nostra Regione e dopo il rito religioso è seguito lo scoprimento di una lapide in ricordo dei trenta soldati austriaci morti di “Spagnola” nel locale Ospedale militare. Hanno presenziato alla manifestazione il Sindaco di Catanzaro Rosario Olivo e Peter Rieser, Presidente della Croce Nera d’Austria, organizzazione che ha lo scopo di mantenere viva la memoria dei militari austriaci caduti nei conflitti mondiali.
Sia l’onorevole Olivo che l’onorevole Rieser, nei loro interventi hanno posto l’accento sulla inutilità della guerra come strumento per dirimere i conflitti tra nazioni e sulle sue atrocità. L’iniziativa è stata organizzata da Mario Saccà, presidente dell’Associazione Culturale “Calabria in Armi” ed autore di importanti ricerche sulla fucilazione dei fanti della Brigata Catanzaro avvenuta a Santa Maria La Longa, paese della provincia di Udine, il 16 luglio del 1917.
Per l’occasione è stata curata una pubblicazione nella quale sono riportate alcune ricerche riguardanti la prigionia dei soldati austriaci nella nostra regione. Una di esse dal titolo “Feher Sandor e Michele Kopeling:un’unica bandiera due destini diversi”, porta la firma di Francesco Capalbo e narra di due soldati austriaci deportati nella Valle dell’Alto Esaro. Feher Sandor soldato ungherese di Hajdúböszörmény, una cittadina situata nella provincia di Haidù - Bihar, a duecento chilometri da Budapest, morì a San Sosti il giorno di Natale del 1918.
Michele Kopeling, nato a Varsavia nel 1896, faceva invece parte di un distaccamento di prigionieri polacchi che a San Marco Argentano producevano traversine per le ferrovie. Durante la prigionia si innamorò di una ragazza del luogo, Giardullo Luigina e alla fine del 1919 rifiutò di essere rimpatriato. Mise al mondo sei figli, quattro maschi e due femmine e visse facendo il contadino. Morì a Roggiano Gravina novantenne, nel 1987. L’amore della gente calabra lo preservò dall’essere spettatore e forse vittima, a Varsavia, degli orrori prima nazisti e poi comunisti.
Traendo spunto dalle parole della poesia di Giuseppe Ungaretti “San Martino del Carso”, la cerimonia del 28 marzo ha inteso ricordare, proprio ad inizio della settima Santa, le tante “Vie della Croce”, tracciate col sangue sulle terre d’Occidente e snodatesi fin nei lembi più nascosti delle nostre umili valli.
Nella prima immagine: lo scoprimento della lapide con i nomi dei trenta militari austriaci morti a Catanzaro. Nella seconda immagine: Mario Saccà, Rosario Olivo, Francesco Capalbo e Franz Karner. Nella terza Immagine: Mario Saccà, Peter Rieser e Francesco Capalbo.
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