lunedì 4 maggio 2009

Su quattro zampe con le ali

di Francesco Marasco

Quando la maestra della scuola elementare chiedeva in classe, ad ognuno, cosa avesse voluto fare da grande, i miei compagni, dopo una breve pausa di riflessione rispondevano decisi:"Io il dottore!", " Io il meccanico!", " Io l'avvocato!"... Io, invece, non rispondevo mai, diventavo muto, ma avrei voluto fare l'aviatore. Mi vergognavo di dirlo perché non intendevo esattamente diventare un pilota d'aerei, ma di un asinello con le ali. Immaginavo il ciuco portarmi in groppa oltre il volo degli uccelli, nel vento alto, tra le nuvole bianche, mantenendomi aggrappato con le mani alle sue orecchie lunghe lunghe, come se fossero briglie. Insieme ci saremmo divertiti da matti a giocare tra le stelle e attorno alla luna, a nascondino. Finalmente potevo ammirare da vicino quello che con stupore guardavo tutti i giorni a bocca aperta e con il naso all'insù. La notte nel lettone della nonna con gli occhi chiusi, prima di addormentarmi, solo lui mi era di conforto. Pensavo cose fantastiche, lasciandomi lambire da sogni che magicamente si trasformavano, regalandomi meraviglia e stupore: tirando la sua coda, l'asinello dal di dietro, buttava tantissime caramelle colorate che cadevano giù nella piazza del paese per la gioia dei bimbi. Volevo che il somarello fosse quello del rude legnaiolo, vicino di casa, che in prossimità della stalla, al ritorno da boschi lontani e sotto il peso schiacciante del carico di legna, emetteva ragli di dolore e camminava barcollante. Proprio quell'asino dagli occhi bagnati di rassegnazione, legato al muro per la cavezza e che ciondolava la testa frustando via con la sua stessa coda le mosche dal ventre ansimante, volevo sottrarre al tormento del suo padrone. Se quel giorno in classe avessi spiegato tutto ciò, avrebbero riso di me per l'intero anno e magari, senza pensarci più di tanto, mi avrebbero "appioppato" addosso un nomignolo del tipo "asinello vola - vola". Non mi conveniva! E cosi' quest´intima vocazione la tenni segreta e gelosamente custodita dentro me, provocando tanta stizza nella maestra, che non si capacitava del fatto che stessi sempre zitto su quest'argomento, senza darle la benché minima soddisfazione di una risposta. Fu durante una delle tante bacchettate sulle mani, umiliato davanti a tutti, che la maestra istericamente mi chiamò "bestia" e mi trasferì insieme con altri nel "recinto dei somari", tra gli ultimi banchi in fondo all'aula, credendo di farmi dispetto. La finestra era vicina e catturava il mio sguardo: potevo sbirciare la cima frondosa della quercia con le ghiande e i nidi, oppure smarrirmi tra le nuvole che si dilatavano per poi disperdersi oltre i monti ancora innevati. Lo spettacolo bizzarro del cielo primaverile era ammaliante e si popolava di colori e suggestioni nuove ad ogni soffio di vento. Era una meraviglia che mi catturava in un gioco d´irresistibile incanto. Ma lei mi sorprendeva distratto e indifferente, con gli occhi puntati fuori a vagheggiare col pensiero. "In piedi e faccia al muro nell'angolo e guai se ti muovi!" ordinava la tiranna e lo spettacolo esterno finiva con le lacrime che ticchettavano in silenzio sulle scarpe. Per lei era difficile capire che la fantasia è forza inattaccabile, indistruttibile, specie nei bambini; energia invisibile e creativa che rende invulnerabili, che può abbattere qualsiasi muro o barriera. Le sue grida rimbombavano tra le pareti dell'aula e, insieme a noi, tremavano i vetri delle finestre; il gesso raggelato cadeva giù sul pavimento frantumandosi in cento pezzi come chicchi di grandine. Le parole e i numeri scritti sulla lavagna sembravano rabbrividire anch'essi, sfarinandosi in una pioggerellina di neve. Mi dispiace che non abbia saputo capirmi; avevo bisogno di essere accarezzato, di avvertire di essere amato da lei e forse, il mio "mestiere" da grande, glielo avrei pure rivelato, visto che ci teneva tanto. Ma al suo posto ora c'era l'asinello che non mi negava mai la sua attenzione e un po' del suo tempo. Ogni notte, in punta di zoccoli e senza far rumore, entrava nella mia stanza dalla scala in legno del soffitto e, posando la testa sul cuscino, aspettava una carezza sul soffice pelo delle sue lunghe orecchie. La nonna, col respiro pesante, continuava indisturbata a sonnecchiare sotto la sua ombra magicamente ingrandita sulla parete. La notte in cui ci fu una stupefacente luna piena che imbiancava la terra, il somarello si mise a parlare con dolcezza, sussurrandomi di saltargli in groppa per fare un giretto. Partimmo spensierati e giocammo nel cielo blu, incantevolmente sgombro di nuvole e pieno di lucciole, fino a quando la nonna, al mattino, mi scosse più volte rimproverandomi di aver fatto la pipì a letto. La maestra mi stava sempre addosso, indispettita, e ora non solo bacchettate ma mi prendeva anche per le orecchie, alzandomi da terra, solo perché sbagliai, nel ripeterla, la tabellina del nove. Ma non mi faceva più paura: il suo viso orripilante e la sua bocca senza labbra e sformata da un ghigno, svanivano nel chiudere gli occhi. Avevo altro da sognare! Al sorgere del sole però, con rammarico, dovevo aprirli e scoprire l'amara realtà. Io perdevo a poco a poco il gusto del risveglio e preferivo il buio della notte alla luce del giorno. Lei era lì in cattedra, austera come sempre, ad aspettarmi vestita d'abbagliante autorità. " Devo farmi furbo ed essere deciso", andavo ripetendo a me stesso, e anche la voce amica mi suggeriva di non sopportare perché era tempo di reagire, di escogitare qualcosa. Imparai presto a trattenere le lacrime e a guardare la maestra in modo impertinente e sfrontato, anche quando si accaniva con la bacchetta o mi puntava minacciosa l'indice contro. Il grembiule in disordine, il colletto fuori posto, il nastro non legato a fiocco; la scarsa pulizia delle mani messe in rassegna sui banchi per l´ispezione delle unghie, erano altrettanti appigli per possibili punizioni. Pur di non offrirle il pretesto per un castigo, imparai a rosicchiare le unghie appena crescevano e in seguito non davo loro nemmeno il tempo di spuntare. Ciò nonostante il giudizio che dava sulla pulizia delle mani risultava negativo. Le dita erano valutate indecenti e schifose e paragonate a vermi di terra che avevano la qualità specifica di crearle un forte disgusto e di rovinarle il già poco appetito che aveva per pranzo. Quella volta che scostai la mano di scatto, schivando la rabbiosa traiettoria del colpo, la bacchetta batté sulla gonna di lei in direzione del ginocchio, producendo un tonfo sordo come il rumore di un battipanni. Ebbi l'ardire e l'ingenua impudenza di deliziarmene visibilmente, sbuffandole una risata in faccia di tutto gusto. Quel giorno la bacchetta, finalmente, aveva cambiato musica e recapito! Tra i primi banchi timidi principi di riso trattenuti dalla paura che preludeva il dopo... Nel "reparto somari", il mio, in fondo all'aula, sembrava non aspettassero altro: ragli e nitriti a trentadue denti! Apriti cielo! Andò su tutte le furie come mai si era vista. Digrignò i denti e avvampò in viso, più per la rabbia della burla subita che per il dolore al ginocchio, e la collera le fece rizzare i capelli che diventarono ispidi come gli aculei di un porcospino. Il finimondo era scoppiato! Tutti in piedi: entrano il Direttore, con la gamba sciancata, e la pancia del Vice dietro; arrivano le maestre delle altre classi gracidanti come ranocchie; la Segretaria con la faccia da tacchino straziato e la bidella secca come una canna, al seguito. Tutti con il naso turato dalle dita e la faccia brutta e schifata. Io e " Lenticchia", quella con gli occhiali spessi, accovacciata al primo banco, fummo accompagnati a casa: lei, con la cacca che le arrivava sin dentro i calzettoni bianchi, camminava a piccoli passi, in punta di piedi, dignitosamente composta, trascinata a strattoni dalla bidella che imprecava, sollevando gli occhi al cielo come in preda ad uno spasimo. Io, con la testa dolorante, avevo incassato un altro colpo di bacchetta. Sul capo questa volta! "Hai la testa dura come un somaro!" mi aveva apostrofato la maestra. "Ah...ahi la testa!" mugolavo. A casa nessuno credeva alle mie ragioni e ricevetti il resto. In silenzio. Alla povera "Lenticchia", naturalmente fu cambiato il soprannome. Anche quella notte era come se fosse giorno e, felici come una pasqua, andammo, con il mio amico, lontano lontano, dove mai avevamo osato prima. L'aria era ferma e calda. Scorsi dall'alto, piccoli piccoli, l'orto con i fichi d'india, i limoni e la lunga siepe di rosmarino che li delimitava; le tegole e il comignolo ancora fumante di casa mia e la scuola col tetto nero di catrame. La maestra è volata all'altro mondo senza ali ma con la bacchetta in mano, convinta di essere stata una buona insegnante, meritevole per questo di un posto in Paradiso. Non so perché, ma a volte la immagino con la bacchetta tra le gambe come la scopa della befana, mentre brancola e piroetta irrequieta nel cielo sopra la scuola. Povera la mia maestra! E' andata via senza conoscere il mio segreto né tantomeno sapere cosa faccio, ora che sono grande. . . Tu sei la prima persona cui rivelo ciò e ti confesso un altro segreto: ho veramente paura di volare con l'aereo; continuo a farlo con l'asinello della mia infanzia, visto che soffro le vertigini solo guardando la punta delle mie scarpe. Eccomi! Oggi io sono il risultato di una somma d'esperienze vissute. Anche fantastiche. La vita mi ha insegnato a soffrire, a ridere, ad odiare, ma anche ad amare ed a sognare, ed ogni cosa, anche quella che sembra più piccola ed insignificante, lo è solo apparentemente perché lascia la sua inevitabile traccia su di noi. E' per questo che mi ritrovo tanta voglia di raccontarti queste cose scrivendoti. Se vuoi venire con me, salta in groppa all'asinello con le ali, c'è posto anche per te!





La foto è stata scattata nell'anno scolastico 1968 - 69 davanti all'ingresso della Scuola Elementare di San Sosti. Essa ritrae la classe quinta elementare mista, della quale l'autore del racconto breve ( che ora insegna lingua e letteratura italiana a Treviso) faceva parte.
Al centro in alto sono distinguibili l'amata maestra Aragona Nucaro Pina ed il Direttore Didattico Antonio Intrieri e subito sotto, da sinistra verso destra, l'intero gruppo di alunni: Rimola Francesco, Vitale Vincenzo, De Marco Vincenzo, Borrelli Mario, Capalbo Francesco (ideatore del Blog), Marasco Francesco (autore del racconto Breve), Veltri Caterina, Guaglianone Maria Luisa, Tiesi Carmela, Esposito Nicola, Tripoli Giuseppina, Bonanno Gilda; inginocchiato: Pietromica Ciriaco.





© 2009 Francesco Capalbo








3 commenti:

  1. Bravo Francesco Marasco

    Bravo Caro Francesco, continua a farci sentire la tua voce da Treviso.
    Abbiamo bisogno della tua intelligenza e del tuo amore per risollevare San Sosti dal baratro nel quale è sprofondato.
    Scrivi ancora, ricordaci cose che noi abbiamo dimenticato.
    Rimani sempre legato alla tua terra perchè dove non cavalcano i cavalli pascolano gli asini!
    Approfitta di queste 2 belle iniziative culturaliGoladelrosa.eu e Mille storie, mille memorie messe in piedi da Raffaele Rosignuolo e Francesco Capalbo e che permettono alle cose belle e buone del nostro territorio di essere conosciute in tutto il mondo.
    Viva la vera cultura!

    Nicola

    RispondiElimina
  2. Ciao francesco sono molto orgoglioso di te e di quello che scrivi perchè sei sempre stato un ragazzo intelligente e altruista.
    Hai cercato sempre di raccontare e far divertire le persone.
    Continua così che la gente apprezza i tuoi modi di raccontare le vicende.
    Un saluto di vero cuore anche a Francesco Capalbo che è l' ideatore di questo blog.
    Complimenti!


    Vincenzo Vitale , Milano

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ahimè, la memoria ha fagliato nel ricordare i nomi dei fotografati in quell'anno scolastico 68/69, il Direttore Didattico é mio padre Raffaele Maria Sparano e non Antonio Intrieri!Grazie.
      NS

      Elimina

E' gradito un vostro consiglio, un giudizio oppure...una critica sull'articolo pubblicato.