domenica 13 settembre 2009

Il degrado delle feste

Una giornata come tante altre

Nota introduttiva di Francesco Capalbo

L’articolo che segue, ci rimanda ad un altro 8 settembre: quello del 1999. Solo quarant’anni separano questa data dal momento in cui Gennaro Capalbo parlò del Pettoruto come di un caleidoscopio di vita e di suoni, ribattezzandolo “la Piedigrotta di Calabria”. Piedigrotta è infatti una zona di Napoli, situata nel quartiere Chiaia, a cavallo tra via Caracciolo e la stazione ferroviaria di Mergellina, nella quale dal XII secolo venne celebrata una festa in onore della Madonna. La festa partenopea visse il suo massimo splendore tra la fine del 1880 e la seconda metà del 1900, quando divenne vetrina della musica napoletana perché si svolgeva in concomitanza con il Festival della canzone napoletana.
Dal momento in cui scrive Gennaro Capalbo al 1999, molta acqua è passata sotto i ponti e l’occhio esperto di Angelo Maggio, che di professione fa il fotografo, con l’animo e le competenze da etnologo, coglie alcuni dei mutamenti che la festa del Pettoruto ha subito. Con acume il suo obbiettivo rivela come le feste tradizionali siano una cartina di tornasole e si modifichino proprio così come si modifica il gruppo che vi partecipa.
Per l’autore dell’articolo nel caso del Santuario del Pettoruto è anche rilevabile come queste trasformazioni svelino processi di omologazione tendenti a tramutare “un luogo del Sacro” in un “non luogo”, vetrina di merci confuse, come la foto documenta, dominato da un asettico silenzio. E’ come se un’accurata regia avesse inteso o intendesse rimuovere da queste forme di devozione con alterne fortune, (poiché la vera anima di un popolo o di un gruppo sociale ha infinite possibilità di rigenerarsi), suoni e comportamenti ancestrali ritenuti segni di un folclore primitivo o peggio ancora molesto.


Il degrado delle feste

di Angelo Maggio


La sveglia suona alle ore 4.00. Supero facilmente l'intontimento dell'orario e preparo le macchine fotografiche. Due di esse ancora contengono un rullino cominciato alla festa della Madonna di Polsi. Oggi è infatti l'8 settembre e le altre foto risalgono a circa una settimana fa. Subito la mente ripercorre quei momenti, dall'arrivo al santuario giorno 1 pomeriggio accompagnato dal suono dell'organetto di due bassi e del tamburello, alla veglia in chiesa, alle tarantelle danzate davanti al sagrato della chiesa, all'odore della carne di capra arrostita, agli sguardi concentrati dei giocatori di morra, alla processione della Madonna, al calore della famiglia Battaglia di Cardeto che ormai mi ha adottato, alle parole di Monsignor Bregantini. Questo film mi passa velocemente davanti gli occhi e aumenta la voglia di arrivare il più presto possibile al Santuario del Pettoruto a San Sosti dove oggi, come ogni anno, si svolge la festa in onore della Madonna del Pettoruto.Due paesi distanti parecchi chilometri l'uno dall'altro ma accomunati dalla festa in onore di Maria e dalla musica tradizionale. Se al santuario di Polsi, infatti, si svolge la festa che raccoglie il maggior numero di suonatori tradizionali della provincia di Reggio Calabria, San Sosti, insieme al Santuario della Madonna del Pollino che però si trova nel comune di San Severino Lucano e quindi in Basilicata, raccoglie fedeli e suonatori tradizionali da diversi comuni della provincia cosentina. Nei giorni scorsi ho telefonato a qualcuno di quelli che spero di vedere al Pettoruto. So già che non incontrerò Santino Bufanio, grande suonatore e costruttore di surduline - la precisazione del tipo di zampogna è necessaria perché in Calabria ne esistono diversi tipi, che qualcuno chiama cornamuse per darle un nome che si ritiene più nordico e quindi più nobile. Mi ha assicurato che ci sarà invece Angelo Minervini, anche lui un maestro della surdulina: per lui quello di San Sosti è un appuntamento che non può mancare. Arrivo al santuario alle 7 circa. Strano, gli anni passati non sono mai riuscito a parcheggiare la macchina così vicino alla chiesa, forse perché oggi non è domenica. Avvicinandomi avverto però una strana senzazione, la cosa che salta subito agli occhi, o meglio alle orecchie, è l'assoluta assenza della musica. Arrivato sul sagrato antistante la chiesa il fatto è ancora più strano, i suonatori ci sono, ma gli organetti ed i tamburelli sono fermi. L'atmosfera è calma, stagnante, non mi piace, divento insofferente e decido di scendere giù per andare incontro ai pellegrini che da San Sosti giungono al Santuario a piedi. Dopo qualche centinaio di metri in lontananza sento il suono di una zampogna. Meno male, il mio stato d'animo migliora. Affretto il passo e vedo Angelo Minervini che insieme alla moglie sta salendo al santuario suonando la sua surdulina. Mi abbraccia, sono felice di vederlo. Saliamo insieme verso la chiesa, lui suonando, io facendo foto e ascoltando, ma arrivati al Santuario resto deluso, appena qualcuno inizia a suonare sul sagrato, dei giovani gli dicono di smettere perché disturba. La situazione è paradossale: giovani di circa 20 anni intimano a suonatori dell'età dei loro nonni di non fare chiasso! Di solito ho sempre visto accadere il contrario, erano gli anziani a lamentarsi del chiasso dei ragazzi. Forse però mi sbaglio, questi guardiani della quiete e del silenzio sono giovani solo all'apparenza, probabilmente i loro occhi abilmente celati da occhiali da sole molto scuri nascondono una grande stanchezza, ed i loro corpi coperti da divise tutte uguali vogliono che quella musica smetta perché non ce la fanno a ballare e questo provoca loro disagio, vorrebbero farlo ma non possono, hanno perso quella carica vitale che invece quei ragazzini di 60 anni hanno ancora intatta. Appena qualcuno inizia a suonare subito due o tre di loro si avvicinano chiedendogli di smettere, quasi la musica offendesse le insegne del Giubileo del 2000. Gli attimi che precedono l'uscita della statua della Madonna sono poi frenetici ma non per i fedeli, ma per i giovani-anziani-con-gli-occhiali-da-sole. Quest'ultimi, attentissimi a far spostare le persone davanti la statua, mi appaiono come una via di mezzo tra delle guardie del corpo e dei chierichetti. Dei primi hanno i modi e la voce, dei secondi lo sguardo dolce da bravi ragazzi che traspare quando si tolgono gli occhiali. I suonatori non accompagneranno la statua durante la processione come solitamente facevano, solo un suonatore di organetto lo fa, e rimarrà l'unico per tutta la processione. Questo accadeva nell'anno 1999, anno in cui la Calabria ed i calabresi stavano approntando tutto per ricevere le migliaia di turisti che sarebbero dovuti giungere per il Giubileo. Si doveva dare un nuovo volto alle feste, via quindi questi suonatori tradizionali dalle processioni, "chi conosce il canto in italiano canti, chi lo conosce in dialetto taccia" aveva detto l'anno prima il sacerdote durante la processione al santuario della Madonna delle Armi a Cerchiara, via le tarantelle sui sagrati. In compenso un fiorire di fasce tricolori e di stendardi di Amministrazioni comunali (fortunatamente non presenti a Polsi malgrado la grande simpatia del sindaco di San Luca e di don Pino Strangio), di palloncini tricolori, di balletti in chiesa e di inviati tv all'inseguimento della nonnina e del nonnino che non avesse mai avuto il piacere di incontrare un dentista. Il volto nuovo alle feste è stato dato, ma una profonda cicatrice ne ha sfregiato alcune, e la mano che l'ha fatto impugna ancora la lama pronta a colpire nuovamente. Aiutata da sorella morte, che negli ultimi anni ci sta privando di numerosi alberi di canto della musica tradizionale calabrese, questa mano subdolamente si infila nelle feste, incomincia ad apportarvi piccole variazioni, ad esempio plagia giovani implumi, nipoti di anziani del posto, perché suonino durante la messa con la chitarra e con la tastiera elettronica rendendo quindi impossibile ai loro nonni di cantare i loro canti sacri. Ne stravolge le modalità di svolgimento se non addirittura le mutila, asportando parti ritenute dannose. E' quanto è successo quest'anno durante la festa della Madonna del Pollino. Qui vi era l'uso che all'uscita della statua dalla chiesa questa si fermasse, un banditore poi dava inizio ad un'asta a cui partecipavano gruppi di diversi paesi. Chi offriva più soldi aveva il diritto di portare sulle spalle la statua durante la processione. Quest'anno è accaduto che quando tutti erano pronti per cominciare l'incanto dall'altoparlante il sacerdote ha annunciato che questo non si sarebbe svolto, ma che le offerte sarebbero lo stesso state raccolte. Ho visto negli occhi di quella gente una rabbia mista ad un profondo dispiacere, gli era stato negato qualcosa che era stato dei loro padri. Sempre durante questa festa, delle donne hanno ballato di nascosto in chiesa perche un altro difensore del silenzio non voleva. Ma ci rendiamo conto di ciò che stiamo consentendo che accada o no? La festa tradizionale è una cartina di tornasole, essa si modifica naturalmente come si modifica il gruppo che vi partecipa. Se una volta si benedivano i buoi, oggi si benedicono i trattori e le automobili. Le statue dei santi non vanno solo nei campi, ma vanno nelle officine, nei laboratori a benedire i luoghi in cui oggi si lavora. E a suonare la zampogna non sono solo pastori, ma ragazzi che studiano all'università e che hanno riscoperto quel legame con un mondo che è stato cancellato nell'animo dei loro genitori. Lungi da me l'idea di una festa schematizzata alla perfezione, di danze tradizionali eseguite da giovincelle in costume finto-tradizionale che agitano tamburelli come fossero racchette da tennis, per carità! Probabilmente anche negli anni passati alcuni nostri riti erano osteggiati dai potenti, ma l'esistenza di un substrato culturale in cui il rito affondava le sua radici faceva sì che questo si mantenesse. Le occasioni in cui si suonava e si danzava erano numerose, "Na vota nun c'era a televisione" è la frase che più spesso sento ripetere dai suonatori tradizionali che così giustificano il loro estinguersi. Sono diminuite le occasioni di lavoro in cui il gruppo si ritrovava, ma non per questo è morta la musica tradizionale. La stessa cosa succede per le feste tradizionali. I giovani di Alessandria del Carretto certamente vivono il rito del trasporto dell'abete dalla montagna al paese in modo diverso da come lo vivevano i loro nonni che avevano un rapporto diverso con quei monti, che gli davano da vivere ma che contemporaneamente li isolavano dal resto del mondo. Ma il rito si svolge e malgrado ad un occhio disattento sembri uguale, ogni anno subisce piccole modifiche che a volte non vengono nemmeno rilevate dai partecipanti. Il valore propiziatorio per l'agricoltura che il rito forse, aveva, oggi è scomparso. Chi partecipa al trasporto ed all'alzo dell'abete o "ntinna", come è detto dagli alessandrini l'albero, riassapora il piacere di lavorare e divertirsi, e tanto, insieme a persone del suo gruppo, e di gioire insieme dei risultati raggiunti. Oggi si stà verificando un fatto inverosimile, il centro-nord d'Italia è pieno di giovani interessati alle musiche ed alla danza del meridione d'Italia. Migliaia di giovani ballano ai concerti di musica proveniente dal Sud Italia, e noi, invece di tutelare questo patrimonio culturale, lo uccidiamo e ci compiaciamo dello svolgimento di manifestazioni che scimmiottano quelle che si svolgono in Toscana ed in Umbria, che altro non fanno che aumentare la nostra ignoranza e diminuire l'amore non solo verso la nostra terra, ma verso tutte le culture sottomesse dalla cultura egemone. Questo atteggiamento fa sì che l'accostamento alla cultura tradizionale avvenga con leggerezza, che ci si dimeni in maniera spesso scomposta, senza comprendere le regole che governano l'entratra e l'uscita dalla danza, e se qualcuno, quando capitano a qualche festa, li richiama all'ordine, lo vedono come uno che vuole limitare il loro animo artistico. Ma quale animo artistico, movimenti disarmonici fatti passare per passi di danza? Farebbero lo stesso con un tango? Penso proprio di no. Fortunatamente la situazione non è irreparabile, le feste e la musica tradizionale sono ancora fortemente presenti in Calabria anche se disseminate a macchia di leopardo. Numerosi sono i sindaci ed i sacerdoti che, coscienti dell'importanza di questi momenti in una comunità, ne favoriscono non solo il mantenimento, ho detto mantenimento e non congelamento, ma anche quelle iniziative culturali che ridanno dignità a quelle tradizioni che TV e mass-media hanno messo in secondo piano o ridicolizzati - Totò nel film "Totò d'Arabia" per offendere un uomo lo chiama - dispiace dirlo - "zampognaro".Mai come in questi casi è vero il detto "la fortuna aiuta gli audaci". Le amministrazioni comunali che hanno ospitato manifestazioni il cui asse portante era costituito dalla musica tradizionale hanno avuto una fortissima presenza di pubblico, ma non di quello presente alle sagre dove si vedono persone riempire vassoi che sfamerebbero Pantagruel (tanto tutto è gratis), ma di un pubblico più attento, rispettoso del paese e dei suoi abitanti, che spesso ha seguito corsi di danza tradizionale in diversi posti d'Italia ed approda in Calabria per vivere una festa (e che una volta tornato nelle nebbie della Padania non fa altro che parlare di quella spendida musica che aveva sentito e che era profondamente diversa dal valzer che è l'inno della regione conosciuto con il titolo di "Calabrisella mia"). Io credo che una legge regionale che tuteli le feste tradizionali sarebbe auspicabile, qualcosa di simile al progetto proposto dal prof. Francesco Lucarelli e dal prof. Lello Mazzacane nella pubblicazione edita da Extra Moenia Nola. In tale proposta la festa viene considerata come un bene culturale da tutelare al pari di tutte "le cose, immobili o mobili, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnografico".

Angelo Maggio vive e lavora a Catanzaro. si occupa di fotografia etnografica dal 1996. E' uno dei fondatori dell'A.R.P.A.(Associazione di Ricerca, Produzione ed Animazione del territorio)
L’articolo dal titolo: “Il degrado delle feste” è stato pubblicato sul numero 24 di Ora Locale, marzo-aprile 2001.
La foto, scattata da Angelo Maggio al Santuario del Pettoruto, è qui pubblicata per sua gentile concessione.

© 2009 Francesco Capalbo