di
Francesco Capalbo
Il convegno tenutosi il 24 novembre nella Sala
Nuova della Provincia di Cosenza, dal titolo: “Da Sibari a Diamante, lungo le
rotte della Magna Grecia”, fuoriesce dal novero degli incontri politici nei
quali spesso si parla delle meraviglie che il futuro ci riserverà se voteremo
per il tal partito e se riporremo fiducia nei suoi irrealistici programmi.
L’altra sera per opera dell’associazione “NeoMedi”
si è discusso di “sviluppo dolce”, l’unico possibile i territori della Valle
dell’Alto Esaro.
L’idea è piuttosto semplice e coinvolge una via che
in maniera evocativa è stata ribattezzata “Via dell’Ossidiana”, in omaggio alla
preziosa roccia vulcanica che lungo questo tratturo, nell’antichità compiva una
tappa del suo viaggio da Lipari verso Atene.
Attraverso la semplice razionalizzazione dell’esistente,
il tragitto potrebbe costituire una seducente meta turistica per quanti amano il
cammino lento lungo mulattiere, tracciati e piste. La via Francigena o il percorso di Santiago di
Compostela dimostrano che esiste una domanda turistica di tale tipo.
Gli esploratori della lentezza costituiscono un
microcosmo di viaggiatori esigenti: amano la natura, la buona tavola e la
ricchezza immateriale dei luoghi.
La Via dell’Ossidiana in realtà si compone di molte
vie: una è quella che da San Sosti conduce a Buonvicino lambendo i territori di
Mottafollone, Sant’Agata d’Esaro e San Donato di Ninea. È ricca di paesaggi, corsi
d’acqua, cascate, montagne e colline, grotte, monasteri e santuari, tradizioni gastronomiche
e di ottimi vini, di vestigia del passato e … di storie millenarie; queste
ultime hanno un grande impatto emotivo su quanti incedono con passo lento.
Lungo la “Via dell’Ossidiana” Mario Pomilio
ambientò un capitolo del suo celebre romanzo “Il Quinto Evangelio” e Pietro
Bellanova, medico curante di Filippo Tommaso Marinetti, scrisse “Picchiata
nell’amore”, romanzo sintetico futurista.
Lungo l’ultimo tratto di questo percorso conosciuto
anche come “Via del Sale”, mossero i loro passi etnologi come Vincenzo Spinelli
e Giovanni de Giacomo.
Ai margini di questo lungo budello, che per essere reso
percorribile non necessita di oltraggi cementizi, Vittorio Caravelli raccolse
la rappresentazione carnevalesca dei “Dodici Mesi dell’Anno”, imbastendo un
vivace dibattito sulla distinzione tra cultura “alta” e cultura “popolare”.
Ora, affinché questa ricchezza immateriale produca
ricchezza materiale, è necessario che come la lana, antica risorsa di questi
territori, sia cardata, raccolta in un gomitolo di iniziative e tessuta con
sagacia.
Ad uno sparuto ma influente gruppo di politici,
capitanato dal Presidente della Regione Oliverio, va riconosciuto il merito di
aver sposato l’idea della “crescita dolce” delle nostre terre.
Il filo però ora bisogna intrecciarlo; è questa
l’operazione più complicata perché necessita dell’intervento sinergico di
risorse materiali e di persone, di enti ed associazioni al cui interno spesso
si agita un indomito … campanilismo.
© 2009 francescocapalbo.blogspot.com
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