Come il desiderio sessuale, la memoria non si ferma mai. Appaia i morti ai vivi, gli esseri reali a quelli immaginari, il sogno alla storia. Annie Ernaux
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mercoledì 11 aprile 2018
domenica 1 maggio 2016
Gli ulivi di Scolacium e il deserto dei Tartari
di Francesco Capalbo
Scolacium è il bellissimo Parco Archeologico di
Roccelletta di Borgia,in provincia di Catanzaro, a pochi chilometri dal Centro Direzionale
della Regione Calabria.
Tra gli ulivi centenari si ergono le maestose rovine dell’abbazia
dedicata a Santa Maria della Roccella, i ruderi del Foro romano, i resti di un
teatro, di un anfiteatro e di una
necropoli bizantina.
Il Museo Archeologico, nel quale
sono esposte diverse statue romane di
pregevole fattura e una ricca raccolta numismatica, è un gioiello che
meriterebbe legioni di visitatori se solo in Calabria vi fossero politiche culturali
accorte. Un custode di nome Giocondo, ci permette di visitarlo nonostante l’ora
di chiusura; la sua prosa è irrefrenabile:
non riesce a capacitarsi di come la fortuna bussi alle nostre porte e noi, per uno strambo maleficio, non siamo in grado
di riconoscerla.
Il viso del guardiano del museo s’infiamma quando esterna senza pudicizia i suoi sogni:
vorrebbe che queste terre rifiorissero come ai tempi dei romani e dei
bizantini.
Le sue parole reclamizzano una sorta di vaccino
sicuro contro le miserie che affliggono noi calabresi: “Se luoghi come questi,
che rappresentano la nostra Isotta Fraschini, fossero tenuti in debita considerazione, i
nostri giovani non sarebbero più costretti a partire e nessuno all’infuori di
qualche pazzo, si permetterebbe di fare il malacarne”.
Durante il viaggio di ritorno
verso casa, un pensiero mi ha tenuto compagnia. Se mai le corolle dei nostri trascurati fiori, avranno la ventura di sbocciare, sarà
per l’impegno dei tanti umili
giardinieri che, come Giocondo contrastano ogni giorno i rovi del nostro
malanimo e non per merito di quanti hanno stanza nel Centro Direzionale della
Regione Calabria, sonnolenta fortezza hollywoodiana, scaraventata in un deserto che sembra quello
… dei Tartari.
Tutti i diritti di copyright sono riservati. Nessuna parte di questo post può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo cartaceo, elettronico, meccanico o altro senza l'autorizzazione scritta del proprietario dei diritti.
© 2009 francescocapalbo.blogspot.com
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domenica 2 settembre 2012
Lettera aperta al sindaco di San Sosti

Egregio Sindaco,
il nostro paese, nel 1924, ha dato i natali a Mario Carbone, fotografo e documentarista di valore internazionale che da anni vive a Rignano Flaminio nel Lazio.
Nel corso della sua lunga attività Mario Carbone ha collaborato con insigni esponenti del mondo letterario italiano (Carlo Levi, Cesare Zavattini, Vasco Pratolini, Mario Soldati…).
Intenso è stato il suo rapporto col movimento artistico denominato “Scuola di piazza del Popolo” di cui facevano parte artisti del calibro di Mario Schifano, Tano Festa e Franco Angeli.
Nel 1964 ha vinto il Nastro d’Argento quale regista di una inchiesta sulla nobiltà calabrese dal titolo:”Stemmati di Calabria”.
Nel 1967 gli è stato attribuito il Leone d’Argento della Biennale di Venezia con l’opera:” Firenze, novembre 1966”.
Numerosi premi gli sono stati assegnati come direttore della fotografia in film e documentari.
Alcuni comuni italiani, tra i quali Roma, hanno dedicato alla sua opera mostre e rassegne.
Protagonisti, ancora oggi, dei suoi innumerevoli lavori fotografici sono gli uomini semplici,i contadini, i vecchi ed i bambini.
Al pari delle opere di Luis Sepulveda “le foto dell’artista catturano momenti di vita comune, quotidiana, ripetitiva, che lo scatto fotografico rende irripetibili”.
Come spesso accade in questa nostra malridotta terra, le istituzioni sembrano non volersi accorgere degli uomini d’ingegno e tutto ciò in ossequio al vecchio dettame che impedisce a chi mostra valore di essere “profeta” in patria.
A nulla sono valsi infatti gli appelli pubblici (aprile 2009 e marzo 2010) promossi dai blog “millestoriemillememorie” e “goladelrosa.eu”affinché il regista fosse accolto tra i nostri concittadini più illustri.
Ora si da il caso che un altro sansostese, Giuseppe D’Addino” stia ultimando senza il conforto delle istituzioni e con grande dispendio di energie un documentario proprio dedicato a… Mario Carbone.
La circostanza sarebbe a nostro avviso propizia affinché la “prima” dell’opera fosse proiettata a San Sosti ed in pari tempo fosse attribuita a Mario Carbone la cittadinanza onoraria.
Sperando in un suo fattivo interessamento e restando a disposizione per ogni forma di collaborazione, la salutiamo cordialmente.
San Sosti 2 settembre 2012
Capalbo Francesco
D’Addino Giuseppe
Rosignuolo Raffaele
Nell’immagine: una foto di Carlo Levi scattata, negli anni sessanta, da Mario Carbone in Lucania
venerdì 23 dicembre 2011
Vi(n)coli dell'Unità

di Francesco Capalbo
Il 24 dicembre alle ore 18 in via Mazzini 24, tra i caratteristici vicoli del centro storico di San Sosti, sarà inaugurata la mostra del pittore Giuseppe Ritondale dal titolo: “Vi(n)coli d’Italia”.
L’artista, sansostese di nascita, vive a Milano città nella quale ha studiato presso l’Accademia di Belle Arti di Brera.
Le opere esposte, cinque carte d’autore, vogliono rappresentare una sorta di tributo artistico all’Unità d’Italia che questo anno celebra il suo 150° anniversario.
La mostra rimarrà aperta fino al 28 dicembre dalle 17 alle 20.
L’artista, sansostese di nascita, vive a Milano città nella quale ha studiato presso l’Accademia di Belle Arti di Brera.
Le opere esposte, cinque carte d’autore, vogliono rappresentare una sorta di tributo artistico all’Unità d’Italia che questo anno celebra il suo 150° anniversario.
La mostra rimarrà aperta fino al 28 dicembre dalle 17 alle 20.
martedì 16 agosto 2011
L'Uomo che superò i confini del Mondo

di Bruno Pino
AIELLO CALABRO, CS (12 agosto 2011) – Chi era veramente Cristoforo Colombo? Era davvero figlio di papa Innocenzo VIII Cybo? E che ruolo ebbe, lo stesso pontefice, nella spedizione verso le Americhe? Fu una “scoperta” quella del Christo Ferens, del portatore di Cristo, o solo una “rivelazione”? E che rapporti aveva, l’Ammiraglio, con San Francesco di Paola?
Su questi ed altri interrogativi, che ruotano tutti attorno alla figura di Colombo, “l’eroe che dovrebbe essere santo” (il cui processo di beatificazione fu avviato ed interrotto per due volte), converseranno domenica 21 agosto 2011, ad Aiello Calabro, antico borgo del cosentino che fu feudo dei Cybo, il colombista Ruggero Marino, autore del libro “L’Uomo che superò i confini del mondo” (Sperling & Kupfer 2010), lo storico Fausto Cozzetto, docente di storia moderna all’Unical, Giuseppe Pisano, studioso di Calabrès e Manetti, padre Rocco Benvenuto dell’Ordine dei Minimi di San Francesco di Paola, e Mario Caligiuri, assessore alla cultura della regione Calabria. Ospiti del rendez-vouz ideato dal “Blog degli Aiellesi nel Mondo” animato da Bruno Pino, i sindaci Francesco Iacucci e Francesco Tonnara delle Comunità di Aiello e di Amantea.
Le tesi di Marino, giornalista che ha lavorato per più di 30 anni a Il Tempo, esposte anche nei precedenti volumi: Cristoforo Colombo e il papa tradito (Newton Compton, 1991 e Edizioni RTM 1997), e Cristoforo Colombo, l’ultimo dei Templari (Sperling & Kupfer 2005), sono certamente “rivoluzionarie”. L’autore, che fa parte pure della Commissione scientifica per le annuali celebrazioni del 12 ottobre in onore di Colombo, nell’ultimo libro «smonta uno ad uno i “miti” costruiti sulla figura dell’Ammiraglio». Colombo non sbarcherà in America per errore, nel tentativo di raggiungere l’Oriente, ma invece, «è perfettamente consapevole del suo obiettivo ed è molto più di un semplice e fortunato uomo di mare. Si muove sulla base di antiche mappe con la decisione di un missionario, di un soldato di Cristo, con lo stesso afflato religioso che caratterizza gli ordini cavallereschi e, in particolare, quello più misterioso della Storia: i Templari».
L’incontro culturale, che si svolgerà, proprio nella piazza che ospita lo storico palazzo che fu dei feudatari Cybo, che tanta parte ebbero nella vicenda colombiana, sarà anche un primo passo verso ulteriori e più approfondite indagini sulla figura e sul ruolo di papa Giovanni Battista Cybo nel più importante avvenimento della storia dell’umanità, dopo la nascita di Cristo; e naturalmente, sui marinai Anton Calabrès di Amantea e Angelo Manetti di Ajello, il quale secondo l’Orlandi è tra i partecipanti alla spedizione di Vasco da Gama che lo porterà a Calcutta nel 1497, e «compagno di Cristoforo Colombo – come scrive lo storico Rocco Liberti - in uno dei suoi viaggi verso le Americhe».
Per saperne di più sull’argomento:
http://www.scribd.com/doc/60565137/Sunto-delle-Tesi-di-Ruggero-Marino
Info:
Mail aiellesinelmondo@gmail.com
Blog http://aiellesinelmondo.blogspot.com
Mobile +39 3207143659 (Bruno Pino)
Comune di Aiello Calabro 0982.43318 – 43663
giovedì 17 marzo 2011
sabato 1 maggio 2010
1° Maggio 2010
domenica 21 marzo 2010
Affinché gli Amministratori di San Sosti scoprano l’importanza dell’impegno culturale e attribuiscano a Mario Carbone la Cittadinanza Onoraria

di Francesco Capalbo
Martedì 23 marzo alle ore 17, a Catanzaro, nell’ambito del convegno “Il territorio violato. Alluvioni tra metafora, paesaggi e difesa dell’ambiente” saranno proiettate due pellicole: una di Ermanno Olmi e l’altra del sansostese Mario Carbone .
L’iniziativa è stata promossa dalla Cineteca della Calabria in collaborazione con la Biblioteca Comunale Filippo De Nobili.
Parteciperà alla proiezione anche il vice-presidente della Giunta Regionale della Calabria Domenico Cerzosimo.
Le due pellicole sono entrambe custodite nell’archivio filmico della Cineteca della Calabria.
Ad aprire l’incontro sarà la proiezione di “Piccoli calabresi sul lago Maggiore” di Ermanno Olmi. Il documentario realizzato nel 1951 narra dell’esperienza di un gruppo di bambini mandati in una colonia estiva dopo la devastante alluvione che in quell’anno sconquassò la Calabria.
Seguirà la proiezione di “Firenze novembre 66” di Mario Carbone. Con questo documentario il regista di origine sansotese vinse il Leone d’Argento a Venezia nel 1967.
Aspettiamo fiduciosi che gli amministratori tutti di San Sosti, finalmente sedotti dal dibattito culturale, tributino a Mario Carbone lo stesso affetto di cui lui è latore nei confronti delle sue origini.
La foto, scattata a Firenze nel 1966, è di Mario Carbone.
© 2009 www.francescocapalbo.blogspot.com
L’iniziativa è stata promossa dalla Cineteca della Calabria in collaborazione con la Biblioteca Comunale Filippo De Nobili.
Parteciperà alla proiezione anche il vice-presidente della Giunta Regionale della Calabria Domenico Cerzosimo.
Le due pellicole sono entrambe custodite nell’archivio filmico della Cineteca della Calabria.
Ad aprire l’incontro sarà la proiezione di “Piccoli calabresi sul lago Maggiore” di Ermanno Olmi. Il documentario realizzato nel 1951 narra dell’esperienza di un gruppo di bambini mandati in una colonia estiva dopo la devastante alluvione che in quell’anno sconquassò la Calabria.
Seguirà la proiezione di “Firenze novembre 66” di Mario Carbone. Con questo documentario il regista di origine sansotese vinse il Leone d’Argento a Venezia nel 1967.
Aspettiamo fiduciosi che gli amministratori tutti di San Sosti, finalmente sedotti dal dibattito culturale, tributino a Mario Carbone lo stesso affetto di cui lui è latore nei confronti delle sue origini.
La foto, scattata a Firenze nel 1966, è di Mario Carbone.
© 2009 www.francescocapalbo.blogspot.com
mercoledì 23 dicembre 2009
Confine
di Francesco Capalbo
Nel dicembre del 1979 Alberto Cavallari, che due anni più tardi sarebbe divenuto direttore del Corriere della Sera, augurò ai suoi lettori Buon Natale raccontando tante storie di Natale; lui stesso le aveva lette con grande maestria sui volti della gente, nella cronaca, negli avvenimenti di quegli anni, nelle lotte sociali e prim’ancora nella sofferta storia di noi italiani.
Erano anni in cui le ideologie si confrontavano in maniera aspra e parole auree come destra e sinistra districavano tutta la loro idolatrica potenza. Nel loro nome si costruivano solchi, fossati e trincee che attraversavano le comunità piccole e grandi ed anche le stesse famiglie.
Alberto Cavallari non era solito farsi incantare da categorie che in Italia rappresentano ancora ai nostri giorni specchietti per allodole agitati, all’evenienza, da demagoghi in cerca di consenso. La frattura, la faglia sismica, il limen che lui descrisse in quel famoso articolo non divideva la destra dalla sinistra, ma l’orda dei furbi dal popolo dei fessi che insieme costituivano e costituiscono tutt’ora l’essenza antropologica della nostra nazione.
Il blog “Mille storie, mille memorie” non avendo in uso far gli auguri di Natale recitando convenevoli ritornelli, propone la lettura dell’articolo di Cavallari con l’intento di contribuire a render chiari sia gli aspetti reconditi del nostro carattere collettivo, sia la malcelata ipocrisia dei re che a Natale si “scambiano l'argento e la mirra avendo deciso che bisogna finirla con la megalomania d'un bambino che pretende anche lui la corona”.
Il Natale ''dei fessi e dei furbi''
di Alberto Cavallari
Ci sono tante storie di Natale. C'è quella della stazione di Milano, per esempio, dove si potevano vedere nei giorni scorsi decine di vecchi seduti sulle valige di fibra, con decine di bambini avvolti in scialli e coperte. Parevano le solite famiglie in arrivo dai luoghi d'emigrazione, in attesa del solito treno del sud, ma non era così. Bastava domandare: per scoprire che si trattava di nonni venuti dal sud, in attesa di treni diretti ancora più a nord, diciamo Svizzera, Germania, Francia, e che lo scopo del viaggio era di portare i figli dei loro figli a vedere i padri e le madri che lavorano a Lilla, Dùsseldorf, Zurigo, e che nemmeno rientrano a Natale. Così si vide partire un treno di nonni e di nonne, un treno di capelli bianchi, di rughe, di scialli neri, di spalle ricurve, e tutti erano carichi di bambini, valige, miseria, fatica, stanchezza, ma con una luce negli occhi. Era il Natale dei vecchi italiani che si mettono in viaggio per ricostruire lontano il presepe distrutto. C'è poi la storia raccontata nei giornali dei trenta quattromila messinesi che vivono in tuguri e baracche perché nessuno ha più ricostruito le case del terremoto del 1908, e così "terremotati si nasce": mentre altri italiani nel Belice, in Friuli, nella Val Nerina, ingrossano il numero di chi attende una casa, e vorrebbe rifare il villaggio travolto, riavere il presepe perduto. Ma i ministri dimenticano, le leggi aspettano, la "priorità"non funziona, la stella cometa non appare mai, il cronista descrive tuguri, topaie, canili, baracche, che si addensano nei pianori, nelle valli, sulle colline, diciamo pure il nuovo presepio che stiamo edificando. C'è poi la storia che raccontano le riviste illustrate: dei capitani d'azienda, dei baroni d'ufficio, dei mandarini sociali, che si scambiano regali favolosi, valigie di coccodrillo da sei milioni, orologi da due, bottiglie preziose da collezione, e poi partono per i caldi Caraibi, visto che del presepio interessa soltanto il finale, l'arrivo dei regali, il minuetto dei re che si scambiano l'argento e la mirra avendo deciso che bisogna finirla con la megalomania d'un bambino che pretende anche lui la corona. Ma siccome l'imitazione dei ricchi prevale sull'imitazione di Cristo, ecco milioni di non ricchi che sperperano, partono, regalano, distruggendo quel poco presepio che potrebbe sopravvivere. C'è poi la storia dei giovani: che non trovano lavoro, che non trovano casa, che trovano droga e corruzione, proprio mentre cominciano il viaggio verso Betlemme, magari con una donna al fianco, magari con un bambino da crescere. Ma non è facile trovare capanne, asini, buoi, pastori, contadini, in un paese che ha favorito lo svuotamento delle campagne, lanciato il mito dell'industrializzazione selvaggia, premiato l'uccisione dei vitelli, distrutto l'ambiente e la natura, combattuto la tradizione, travolto ogni equilibrio. Infatti, si sono trovati miliardi per tangenti e bustarelle, ma non s'è trovata una lira per far vivere meglio chi lavora nei campi, cura le piante, alleva vitelli e conigli. Così, mentre arriva la crisi scopriamo di non avere nemmeno la risorsa fondamentale che si chiama agricoltura: questo "presepe" economico che i tecnocrati dei salotti hanno giudicato superato. C'è poi la storia del "lavoro sommerso": del paese che sta in piedi perché la gente produce, traffica, lavora, in una zona d'ombra che sfugge ai censimenti di Erode. I soliti centurioni la scoprono, la denunciano, la discutono naturalmente tra una vacanza e l'altra alle Antille e nella loro nota ignoranza vorrebbero che fosse organizzata, orientata, fiscalizzata, fiatizzata o irizzata. Ma basterebbe fargli leggere la storia del capitalismo che Braudel ha finito da poco, lavorando vent'anni, per sapere che un'economia ha sempre somigliato a una casa a tre piani. Al primo piano ci sono "le strutture del quotidiano". Al secondo piano c'è "il gioco degli scambi". Al terzo piano c'è il capitalismo (privato o di stato). Quando al terzo piano si sbagliano le direttive, le cose si salvano al piano sottostante; e quando persino gli "scambi" del secondo piano s'inceppano, fortunatamente scatta la "cultura del materiale", fatta di uomini in cerca di nutrimento, soldi, tecniche, strumenti di lavoro. Perché meravigliarsi se, privi di un terzo piano funzionante, paralizzato persino il mercato, il mondo italiano sopravvive barricandosi al primo piano?Ma fermiamoci qui. Tutte le storie di Natale potrebbero confluire in una storia sola. Voglio dire nella famosa parabola "dei furbi e dei fessi" scritta da Prezzolini al tempo di Caporetto. Infatti, mentre incombeva la più grande tragedia del risorgimento nazionale, mentre tutto crollava e mentre tutti scappavano, Prezzolini ebbe il coraggio di lanciare una teoria e di formulare una previsione. L'Italia, disse, è un paese fondamentalmente costituito da furbi e da fessi. I furbi comandano, arricchiscono, sbagliano, perdono, mandano allo sbaraglio i fessi. I fessi combattono, lavorano, accettano, lottano, sono persino capaci di morire per la patria. Pertanto, siccome i furbi hanno prodotto Caporetto, e siccome resta sempre una immensa riserva di fessi, è facile prevedere che i fessi verranno mandati al fronte, che accetteranno ancora una volta di combattere, che si faranno uccidere, e che alla fine riusciranno a vincere. Né Prezzolini aveva torto. La sua teoria funzionò, e con essa la previsione. Passate poche settimane, cessò la Caporetto dei furbi. Puntualmente si verificò l'immancabile Vittorio Veneto dei fessi. Il lettore avrà già capito che tra tutte le storie del Natale '79 si deve scegliere l'ultima, che riassume le altre. Infatti, il teorema di Prezzolini è sempre valido, comprese le sue famose enunciazioni. L'Italia di cui Prezzolini parlava sessanta anni fa e rimasta la stessa. un paese dove "l'intelligente è un fesso anche lui"; dove "il furbo non usa mai parole chiare, e comanda non per la sua capacità ma per l'abilità di fingersi capace"; dove "i fessi hanno dei principi, i furbi soltanto dei fini"; dove "in generale il fesso è stupido, perché se non fosse stupido avrebbe cacciato via i furbi da parecchio tempo"; dove "ci sono i fessi intelligenti e colti che vorrebbero mandare via i furbi, ma non possono: primo, perché sono fessi; secondo, perché gli altri fessi sono stupidi e non li capiscono"; dove " per andare avanti ci sono soltanto due sistemi: il primo è leccare i furbi; il secondo - che riesce meglio - consiste nel far loro paura; infatti, non c'è furbo che non abbia qualche marachella da nascondere, e non c'è furbo che non preferisca il quieto vivere alla lotta, e l'associazione con altri briganti alla guerra contro questi ". Si potrebbe citare a lungo questa diagnosi, che resiste al tempo, alla moda, ai trasformismi. Ma il lettore ha capito e saprà continuare da solo, e aggiornare queste parole con volti e con fatti, con situazioni e vicende, che perpetuano - sessant'anni dopo - l'Italia di sessanta anni fa. Ciò che interessa, qui, è precisare che la generazione di Prezzolini sbagliò tutto: vedendo la soluzione nel fascismo, cioè nell'uso fatto dai furbi della disperazione che nasce nell'animo dei fessi quando si combattono tra di loro. Mentre dobbiamo chiederci, adesso, quale sia la via d'uscita per impedire ai furbi di portarci nuove Caporetto, e per impedire ai fessi di regalare ai furbi nuove Vittorio Veneto. Dopotutto, il meccanismo violenza - autoritarismo è sempre pronto a scattare facendo leva sulla stanchezza, sul terrorismo, sul timore del peggio; e impaurisce un "ordine" che viene proposto ai fessi attraverso" l'associazione dei furbi con altri briganti ".Che fare, allora, sessant'anni dopo? Che fare mentre il Natale 1979 riporta gli stessi problemi del Natale 1919? Che fare mentre il paese rivive la sua permanente tragedia dei furbi e dei fessi? Probabilmente, la risposta non è nel gioco degli schieramenti che si perpetua, nel sofisticato intrigo dei furbi che si consuma a Roma, nel bigliardo politico che si gioca usando vecchi tabù contro una classe lavoratrice sempre esclusa (per una ragione o per l'altra) dal governo del paese. Probabilmente è nel capire che non va solo chiesto ai " fessi " di combattere a Caporetto. Infatti, il prossimo Natale sarà forse troppo tardi. Potremmo scoprire che non si torna indietro lungo la strada intrapresa, in un'Italia dove il "sistema" sembra poggiare sui soliti "due sistemi" di Prezzolini. Primo, essere cortigiani dei furbi. Secondo (come gli scandali dimostrano), fargli soltanto paura per essere chiamati a dirigere e comandare in una associazione perpetua di finti fessi e di furbi veri che si strizzano l'occhio. Diciamo pure: in un succedersi di disfatte - vittorie e di vittorie - disfatte che impediscono al " paese reale " di nascere, cioè di avere finalmente il proprio Natale.
© Francesco Capalbo 2009
venerdì 18 dicembre 2009
venerdì 27 novembre 2009
Una importante opera di Filosofia del Diritto a cura di Mario Sirimarco
Clicca sull'immagine
© Capalbo Francesco
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domenica 25 ottobre 2009
venerdì 8 maggio 2009
Il recupero delle ville rurali nel territorio di Rossano: in un lavoro di Tiziana Cerbino una importante proposta di dibattito politico e culturale
di Tiziana Cerbino
Non si può costruire il futuro o semplicemente comprendere il presente se mancano le basi radicate nel passato. Scoprire le proprie radici non è solo un’esplicita dichiarazione di responsabilità culturale, ma significa altresì affermare il principio psicologico per il quale la conoscenza parte dal vicino e dal familiare, per non smarrire le tracce, per ritrovare se stessi. E’ innegabile, infatti, che attraverso lo studio e l’analisi di un monumento o di un qualsiasi edificio si può conoscere meglio il tessuto economico-culturale che vi ha gravitato intorno,perché la storia degli agglomerati urbani è essenzialmente “storia di pietre” ed è certamente più attendibile ciò che si ricava dall’analisi diretta del costruito che non dai documenti spesso lacunosi, ed a volte contraddittori. Le ville rurali disseminate nel paesaggio agrario di Rossano sono numerosissime. Concentrate soprattutto lungo la fascia costiera e nell’immediato entroterra, rappresentano delle emergenze suggestive in quanto presenze architettoniche e testimonianze socio-economiche, evocanti un passato ricco di storia e di cultura e simboli di una organizzazione del territorio che ormai è purtroppo scomparsa. Esse rappresentano dei veri e propri monumenti della civiltà contadina, e attestano con la loro presenza,il modo di porsi dell’uomo rispetto all’ambiente,le sue capacità organizzative e produttive. Per questa ragione, i manufatti rurali, pur conservando la loro eleganza e signorilità, quando assumono una dimensione abbastanza consistente, circondandosi di vari corpi di fabbrica, sembra che vengano ad assumere la configurazione di vere e proprie masserie. Forse in nessun altro luogo più che nelle ville di campagna, può cogliersi il duplice volto della società rossanese: in esse,infatti, è impressa la storia umile e mai scritta di un popolo contadino, di un popolo artigiano ed operaio, accanto a quella più accreditata e certamente più conosciuta dei potenti e delle famiglie feudatarie che hanno occupato un posto rilevante nella storia di Rossano. Ma quel rapporto così faticosamente costruito tra il centro abitato e l’ambiente, tra la città e la campagna si è irreversibilmente spezzato. Negli ultimi decenni del secolo scorso, la gente contadina ha lasciato le valli, le colline ed anche le campagne, quei luoghi un tempo pullulanti di vita ora sono taciturni e silenziosi, gli strumenti da lavoro abbandonati, le case rimaste vuote e in attesa dell’azione corrosiva del tempo. Da qui l’urgenza di un recupero impellente per un’azione di salvaguardia di ciò che ormai resta di quei frammenti di vita vissuta. E’ sicuramente compito nostro, della società nelle sue varie articolazioni, ridare linfa vitale e presenza umana a quelle mura, per far sì che la memoria storica possa essere veramente custode del passato, da cui poi poter progettare un futuro migliore.
Tiziana Cerbino è docente di lingua e letteratura italiana presso l’Istituto Tecnico Industriale di Rossano.
E’ autrice del volume: “Ville rurali nel territorio di Rossano” edito dalla Casa Editrice Studio Zeta nel 1997.
Il suo indirizzo di posta elettronica è il seguente: tizicerbino@virgilio.it
Non si può costruire il futuro o semplicemente comprendere il presente se mancano le basi radicate nel passato. Scoprire le proprie radici non è solo un’esplicita dichiarazione di responsabilità culturale, ma significa altresì affermare il principio psicologico per il quale la conoscenza parte dal vicino e dal familiare, per non smarrire le tracce, per ritrovare se stessi. E’ innegabile, infatti, che attraverso lo studio e l’analisi di un monumento o di un qualsiasi edificio si può conoscere meglio il tessuto economico-culturale che vi ha gravitato intorno,perché la storia degli agglomerati urbani è essenzialmente “storia di pietre” ed è certamente più attendibile ciò che si ricava dall’analisi diretta del costruito che non dai documenti spesso lacunosi, ed a volte contraddittori. Le ville rurali disseminate nel paesaggio agrario di Rossano sono numerosissime. Concentrate soprattutto lungo la fascia costiera e nell’immediato entroterra, rappresentano delle emergenze suggestive in quanto presenze architettoniche e testimonianze socio-economiche, evocanti un passato ricco di storia e di cultura e simboli di una organizzazione del territorio che ormai è purtroppo scomparsa. Esse rappresentano dei veri e propri monumenti della civiltà contadina, e attestano con la loro presenza,il modo di porsi dell’uomo rispetto all’ambiente,le sue capacità organizzative e produttive. Per questa ragione, i manufatti rurali, pur conservando la loro eleganza e signorilità, quando assumono una dimensione abbastanza consistente, circondandosi di vari corpi di fabbrica, sembra che vengano ad assumere la configurazione di vere e proprie masserie. Forse in nessun altro luogo più che nelle ville di campagna, può cogliersi il duplice volto della società rossanese: in esse,infatti, è impressa la storia umile e mai scritta di un popolo contadino, di un popolo artigiano ed operaio, accanto a quella più accreditata e certamente più conosciuta dei potenti e delle famiglie feudatarie che hanno occupato un posto rilevante nella storia di Rossano. Ma quel rapporto così faticosamente costruito tra il centro abitato e l’ambiente, tra la città e la campagna si è irreversibilmente spezzato. Negli ultimi decenni del secolo scorso, la gente contadina ha lasciato le valli, le colline ed anche le campagne, quei luoghi un tempo pullulanti di vita ora sono taciturni e silenziosi, gli strumenti da lavoro abbandonati, le case rimaste vuote e in attesa dell’azione corrosiva del tempo. Da qui l’urgenza di un recupero impellente per un’azione di salvaguardia di ciò che ormai resta di quei frammenti di vita vissuta. E’ sicuramente compito nostro, della società nelle sue varie articolazioni, ridare linfa vitale e presenza umana a quelle mura, per far sì che la memoria storica possa essere veramente custode del passato, da cui poi poter progettare un futuro migliore.
Tiziana Cerbino è docente di lingua e letteratura italiana presso l’Istituto Tecnico Industriale di Rossano.
E’ autrice del volume: “Ville rurali nel territorio di Rossano” edito dalla Casa Editrice Studio Zeta nel 1997.
Il suo indirizzo di posta elettronica è il seguente: tizicerbino@virgilio.it
© Francesco Capalbo
venerdì 24 aprile 2009
La politica al tempo dell´autismo corale
di Franco Arminio
È difficile per uno che fa o prova a fare letteratura vivere in un piccolo paese del sud. È ancora più difficile proporsi come amministratore nel proprio paese. Lo scrittore appare inaffidabile, lontano dalla concretezza delle cose. E la politica ormai è confusa con la semplice amministrazione. Per fare il sindaco più che le idee serve la cravatta. Poi gli incravattati si lamentano che la gente non partecipa ai consigli comunali. Delle cento persone in lista, alla fine nei paesi rimangono sempre i soliti cinque o sei a fare quel che sanno fare. I paesi del sud stanno morendo perché sono stati amministrati da gente che non crede nei propri luoghi. Gente che spende altrove perfino l'indennità guadagnata col ruolo di sindaco. Lo schema è sempre lo stesso: piccolo paese, piccola vita. E allora quando arrivano le elezioni niente spazio agli idealisti, niente spazio a chi sogna, la politica è roba sporca e la deve fare gente opaca, impolverata da una vita manomessa dalla noia. Le elezioni diventano un'occasione per darsi una mossa e così dalla noia si passa all'intrallazzo. Tante mosse e moine assai simili a quelle che fanno gli animali per garantirsi l'ordine di beccata. Il gioco è chiaro, ma viene fatuamente occultato da una girandola di parole vuote: tutti che invocano unità, coesione, ma poi bisogna fare i conti con l'autismo corale. E allora ognuno vuole fare il sindaco. E allora ogni riunione diventa una seduta spiritica. Un'adunata di fantasmi comincia a far girare le solite frasi: dobbiamo stabilire un percorso... dobbiamo convergere su un programma... e altre frasi che passano di bocca in bocca come un collutorio di banalità che sembrano eludere ogni possibilità di distinguere tra le menzogne e le cose vere. La colpa maggiore non è di chi si agita in queste manfrine, ma in quelli che non s'indignano, in quelli che trovano normale questo spettacolo. Come diceva Pasolini, la purezza sta molto in basso o molto in alto, in mezzo c'è corruzione c'è l'infima borghesia che abita i nostri paesi. Uno scrittore ha pochissime possibilità di farsi eleggere sindaco e queste possibilità diventano ancora minori se il paese è il proprio. Se avessimo tra noi Carlo Levi e Guido Dorso li metteremmo a fare fotocopie in qualche ufficio. Il mio ultimo libro è stato letto e amato da tante persone, ma non certo dai politicanti. Loro pensano di sapere, pensano di conoscerli i nostri paesi, dichiarano perfino di amarli, ma poi nello sguardo leggi un'implacabile penuria spirituale. Non ho ancora deciso come e se misurarmi con la possibilità di diventare sindaco del mio paese. Sono tentato di provarci per vedere se in fondo il mio pessimismo è un errore. Sono tentato di provarci per dare la possibilità a qualche indomito che crede ancora nella democrazia di scegliere tra proposte che siano realmente diverse. In molti paesi irpini i cittadini saranno costretti a scegliere tra candidati fotocopia. Spesso l'avversario o gli avversari al sindaco uscente sono scelti in base alla somiglianza, e alla pressione verso la mediocrità che sembra la spinta dominante. I nostri paesi stanno morendo anche perché le persone più sensibili e generose vivono ai margini e la scena è dominata dai diffusori della maldicenza, dai demoralizzatori di professione, dai vittimisti di lungo corso, dai luminari dell'accidia e dell'indifferenza. In questi casi più che di esseri viventi si deve parlare di esseri esigenti, pronti ad esigere per sé e mai per la collettività. Il guaio che spesso sono proprio persone come questa a contendersi il ruolo di amministratori, magari dopo che si sono assicurati un posto di lavoro che gli lascia il tempo di dedicarsi agli estenuanti rituali della politica. Questa notte ho sognato la stanza dove sono nato e dove ho vissuto per più di trent'anni. Non ci potevo entrare, era piena di vipere. Erano piccole e viscide, ma appena ne ammazzavi una, ne veniva fuori un'altra. Non ricordo com'è finito il sogno. Non so cosa farò nella prossima campagna elettorale. Mi è chiaro comunque che devo continuare a scrivere, a raccontare quello che accade in questi paesi che sono il mio strazio e il mio appiglio. Non so cosa farò il sei e sette giugno, ma so di sicuro che tra il 21 e 28 giugno sarò a Cairano insieme a bellissime persone di questa Irpinia e di questa Italia. Starò con loro e con il paesaggio, starò in un luogo in cui metteremo insieme artisti e artigiani, intellettuali e contadini. L'abbiamo chiamata Festa delle arti e della decrescita, ma forse è politica, forse è l'unica politica che possiamo fare.
Il testo, segnalatomi da un attento amico è qui pubblicato per gentile concessione del sito www.ilprimoamore.com al quale esprimiamo al nostra gratitudine.
martedì 21 aprile 2009
lunedì 30 marzo 2009
La Buona Politica e il potere catartico della Memoria

Ho sempre avuto una grande passione per la politica.
Essa nasce dalla percezione, quasi un dolore lancinante, di vivere in una regione (la Calabria) che necessita di essere trasformata con l’azione consapevole di quante più energie possibili, indirizzate verso obiettivi comuni e nobili.
Alla passione per la politica ho sacrificato tempo ed entusiasmo, militando nel Partito Comunista Italiano.
Fino al 2004 la mia partecipazione è stata solo teorica, nel senso che non ho avuto responsabilità istituzionali dirette.
Dopo una breve esperienza nel direttivo provinciale della CGIL Scuola di Cosenza, mi sono candidato alle elezioni comunali di San Sosti, paese nel quale sono nato, con una lista di centro sinistra, ricoprendo la carica di capogruppo consiliare di maggioranza e di consigliere nella Comunità Montana “Unione delle Valli”.
La mia è stata una esperienza per molti versi fallimentare, che nasce dall’ingenuità con la quale mi sono avvicinato ad essa e della quale però mi assumo ogni responsabilità.
Credevo, per il solo fatto di essere carico di entusiasmo, che questo stato d’animo fosse percepito come una risorsa e non come una insidia tale da minacciare equilibri ormai consolidati. Supponevo di avere il conforto di quanti in gioventù avevano condiviso con me percorsi intrisi di ideali. Non avevo supposto che le persone ed i valori, non corroborati dalla memoria e da solide prospettive progettuali e culturali, potessero trasformarsi in qualcosa di diverso .
Degli anni in cui ho fatto l’amministratore porto idee confuse e mi perseguita la stessa sensazione che si vive partecipando ad un rito che non sollecita né l’ anima né la ragione.
Non ho comunque niente da rimproverarmi o da rimproverare.
Rimane immutato il mio interesse per la Buona Politica (da certe sane passioni non si sente mai la necessità di guarire!), ma ho pensato che forse sarebbe stato più utile cercare di riportare alla luce, attraverso lo studio dei fenomeni storici, la genesi degli atteggiamenti, dei comportamenti e delle azioni che non permettono lo sviluppo umano, sociale ed economico della nostra terra. Per tale motivo ho creato il mio blog: www.francescocapalbo.blogspot.com.
Nei prossimi giorni pubblicherò,con cadenza settimanale, documenti che serviranno a sottrarre dall’oblio la storia della nostra comunità e ad individuare le radici dei nostri comportamenti politici, buoni o cattivi che siano.
Appena possibile pubblicherò nel Blog una storia a puntate dal titolo: “Alle radici della nostra questione morale.”
In questi articoli saranno descritte vicende che molti anni fa scossero la Calabria, la Provincia di Cosenza ed ebbero come epicentro San Sosti. Esse serviranno ad individuare l’origine di tanti modelli negativi che ispirano ancora oggi la maggior parte dei politici della nostra terra.
Spero di ricevere il conforto, specialmente dei giovani, nei quali come docente ripongo fiducia per la rinascita non solo di San Sosti, ma di tutto il Meridione.
Quando sento dire in giro che per migliorare i nostri luoghi bisogna cambiare mentalità, non posso non condividere tale prospettiva.
Il cambiamento è però possibile solo se ci immergiamo, come in una sorta di psicanalisi di gruppo, negli angoli più nascosti della nostra memoria. Nei luoghi del nostro inconscio collettivo e nei suoi gironi infatti prendono forma, in maniera molte volte inconsapevole, atteggiamenti e comportamenti politici che si rivelano perniciosi per la nostra terra.
Riportarli alla luce è il primo passo che deve compiere chiunque voglia prodigarsi per il reale cambiamento.
Essa nasce dalla percezione, quasi un dolore lancinante, di vivere in una regione (la Calabria) che necessita di essere trasformata con l’azione consapevole di quante più energie possibili, indirizzate verso obiettivi comuni e nobili.
Alla passione per la politica ho sacrificato tempo ed entusiasmo, militando nel Partito Comunista Italiano.
Fino al 2004 la mia partecipazione è stata solo teorica, nel senso che non ho avuto responsabilità istituzionali dirette.
Dopo una breve esperienza nel direttivo provinciale della CGIL Scuola di Cosenza, mi sono candidato alle elezioni comunali di San Sosti, paese nel quale sono nato, con una lista di centro sinistra, ricoprendo la carica di capogruppo consiliare di maggioranza e di consigliere nella Comunità Montana “Unione delle Valli”.
La mia è stata una esperienza per molti versi fallimentare, che nasce dall’ingenuità con la quale mi sono avvicinato ad essa e della quale però mi assumo ogni responsabilità.
Credevo, per il solo fatto di essere carico di entusiasmo, che questo stato d’animo fosse percepito come una risorsa e non come una insidia tale da minacciare equilibri ormai consolidati. Supponevo di avere il conforto di quanti in gioventù avevano condiviso con me percorsi intrisi di ideali. Non avevo supposto che le persone ed i valori, non corroborati dalla memoria e da solide prospettive progettuali e culturali, potessero trasformarsi in qualcosa di diverso .
Degli anni in cui ho fatto l’amministratore porto idee confuse e mi perseguita la stessa sensazione che si vive partecipando ad un rito che non sollecita né l’ anima né la ragione.
Non ho comunque niente da rimproverarmi o da rimproverare.
Rimane immutato il mio interesse per la Buona Politica (da certe sane passioni non si sente mai la necessità di guarire!), ma ho pensato che forse sarebbe stato più utile cercare di riportare alla luce, attraverso lo studio dei fenomeni storici, la genesi degli atteggiamenti, dei comportamenti e delle azioni che non permettono lo sviluppo umano, sociale ed economico della nostra terra. Per tale motivo ho creato il mio blog: www.francescocapalbo.blogspot.com.
Nei prossimi giorni pubblicherò,con cadenza settimanale, documenti che serviranno a sottrarre dall’oblio la storia della nostra comunità e ad individuare le radici dei nostri comportamenti politici, buoni o cattivi che siano.
Appena possibile pubblicherò nel Blog una storia a puntate dal titolo: “Alle radici della nostra questione morale.”
In questi articoli saranno descritte vicende che molti anni fa scossero la Calabria, la Provincia di Cosenza ed ebbero come epicentro San Sosti. Esse serviranno ad individuare l’origine di tanti modelli negativi che ispirano ancora oggi la maggior parte dei politici della nostra terra.
Spero di ricevere il conforto, specialmente dei giovani, nei quali come docente ripongo fiducia per la rinascita non solo di San Sosti, ma di tutto il Meridione.
Quando sento dire in giro che per migliorare i nostri luoghi bisogna cambiare mentalità, non posso non condividere tale prospettiva.
Il cambiamento è però possibile solo se ci immergiamo, come in una sorta di psicanalisi di gruppo, negli angoli più nascosti della nostra memoria. Nei luoghi del nostro inconscio collettivo e nei suoi gironi infatti prendono forma, in maniera molte volte inconsapevole, atteggiamenti e comportamenti politici che si rivelano perniciosi per la nostra terra.
Riportarli alla luce è il primo passo che deve compiere chiunque voglia prodigarsi per il reale cambiamento.
Francesco Capalbo
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