giovedì 28 luglio 2011

Che l'oblio non scenda sul folklorista dell'eros!





di Valentina De Lorenzo

Esattamente due anni fa, la Pro Loco, commemorando l’ottantesimo anniversario della morte diGiovanni De Giacomo, ha proposto che venisse intitolata proprio al folklorista la Scuola Media di Cetraro. Nonostante le sollecitazioni, purtroppo ancora una volta, non si è presa in seria considerazione l‟importanza di onorare un illustre concittadino che ha lasciato un segno tangibile nella storia e nella letteratura folklorica comparata.
Tuttavia, rispetto a quanto accade nella città di Cetraro, il liceo artistico di Luzzi, nella persona deldirigente scolastico, Vincenzo Garofalo, intitolando recentemente la scuola al pittore Emilio Iuso, ha dimostrato che il rafforzamento di una istituzione come quella scolastica avviene soprattutto attraverso una forte consapevolezza della propria identità culturale.
Una società che tronca i rapporti con il proprio passato è una società che si condanna all’asfissia, alla morte, all’ inconsistenza. Ogni comunità è legata ad una propria storia che unisce il popolo in una sorta di “struttura connettiva” che intreccia le vite dei singoli e fa dell’ identità individuale un‟ identità collettiva.
E‟ da qui che nasce il valore fondante della nostra memoria. Noi non nasciamo nel presente, siamo anche la nostra storia; siamo le persone che abbiamo conosciuto, che abbiamo amato. Giovanni De Giacomo, nacque a Cetraro il 12 luglio 1867 e fu un insigne intellettuale della prima metà dell‟800.
L‟attività dello studioso iniziò già all‟età di 19 anni, quando in seguito alla morte del padre dovette tenere cattedra privata per contribuire al sostentamento della sua numerosa famiglia.
Nel 1891, collaborò alla rivista « La Calabria » di Monteleone Calabro (l‟odierna Vibo Valentia), diretta da Luigi Bruzzano, dove pubblicò una serie di interessanti articoli su usi, costumi, leggende, proverbi del popolo calabrese, successivamente raccolti nei due volumi de Il Popolo di Calabria: un compendio d‟usi e tradizioni, dove confluirono recuperi importanti, come certi resti di teatro popolare calabrese risalenti alla farsa del 600, che ancora oggi conservano valore di recupero della cultura locale.
Dopo la collaborazione con Bruzzano, De Giacomo svolse l‟attività di insegnante in vari istituti scolastici della Calabria, che gli permise di conoscere più a fondo il folklore calabrese. Inoltre collaborò all‟ «Archivio delle tradizioni popolari» di Giuseppe Pitrè e alla «Rivista delle tradizioni popolari» di Angelo De Gubernatis. Fu amico di Vincenzo Padula, Raffaele Corso e VincenzoJulia ed ebbe elogi e stima da molti illustri suoi contemporanei. Si avvalorò dell’amicizia di Graziadio Ascoli ed ebbe contatti anche con esponenti dell’etnografia europea, quali il prof. Gustav Meyer dell‟Università di Kratz, Hugo Schuchardt e Federico Salomone Krauss direttore della rivista «Anthropophyteia ».
Nel 1910 e 1911, per incarico di Lamberto Loria, compose e diresse il padiglione per la Calabria nel
Museo di etnografia italiana, a Firenze prima, a Roma poi. Pubblicò numerosi articoli e racconti su
riviste locali e nazionali. Fu socio dell’Accademia Cosentina.
Nel 1917 per motivi di salute lasciò l‟insegnamento pubblico e si ritirò a Cetraro e, dopo dieci anni, nel 1928, un anno prima della sua morte, pubblicò Athena Calabra, l’opera più famosa e più discussa dello scrittore.
L‟autore cercava di rivendicare alla Calabria un‟immagine positiva, rispetto alle condizioni miserevoli in cui versava, partendo direttamente dalla sua gente, uomini e donne dal tratto fiero che diventano i protagonisti stessi della loro storia. A Cetraro è dedicata la seconda parte, che reca il titolo “Il Cetraro”, nome maschile per De Giacomo. In essa l‟autore si sofferma sull’etimologia del nome del paese tirrenico, sulla sua storia dalla donazione a Montecassino alla incursione turchesca del 1534, sugli uomini illustri cetraresi e più avanti si parla ancora a proposito del porto e di alcuni statuti concessi alla città nel 1515.
L‟attaccamento profondo alla sua terra, viene avvertito anche nel 1967, quando viene pubblicata come opera postuma, La Santarella, a cura di Paride De Giacomo, romanzo nostalgico sulla
Calabria, accompagnato da due novelle e un racconto.
L‟ultimo capolavoro di De Giacomo è La Farchinoria, una raccolta personale di notizie sui riti e consuetudini dell‟eros popolare calabrese. Opera straordinaria, poco conosciuta sia per i contenuti ritenuti scabrosi e licenziosi, sia per la mancanza di una critica dovuta alla scarsa presenza di prove sulla veridicità del racconto. Una copia del manoscritto rimase sepolta nella casa di De Giacomo per quasi sessant’anni e fu edita solo molti anni dopo, esattamente nel 1972, dal prof. Raffaele Sirri, sotto esplicita richiesta del figlio Paride, che fu il primo, assieme al fratello Lamberto, a comprenderne l’originalità.
Nel caso di uno studioso come Giovanni De Giacomo, noi abbiamo bisogno di ricordarlo non in maniera agiografica, non facendone un santino, ma assumendo la sua opera e indagandola, cioè cercando di vedere quale apporto critico ha dato ai vari argomenti, recepirne la lezione metodologica e andare avanti. Questo serve sia per un De Giacomo studioso della letteratura popolare, sia per un De Giacomo analista della società calabrese e organizzatore di cultura. Queste complesse personalità dell’autore devono spingerci ad approfondire le tematiche da lui trattate entrando in un vivo rapporto dialettico. Conoscenza critica e diffusione di un sapere non chiuso, non campanilistico, l’individuazione dei temi della cultura popolare e di alcune figure di studiosi di questa cultura, rimangono il valore fondante su cui deve basarsi la vera società contemporanea



Nell'immagine: la copertina de la "Santarella", Editrice Mit, Cosenza, 1967.

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