di Francesco Capalbo
Ho avuto buoni maestri. Uno di essi si chiamava zu Pippinu
Bloise. Aveva lavorato per molti anni come usciere al Genio Civile di Cosenza e
conosceva l’indole umana come pochi altri. Mi ha insegnato a distinguere i
politici perbene dalla marmaglia.
Zu Pippinu diceva che i politici onesti camminano sempre da
soli. La mia esperienza ha validato la sua teoria.
Negli anni in cui ho vissuto a Brescia mi è capitato
d’incontrare l’onorevole Mino Martinazzoli per le vie della città. Aveva fama
di uomo probo e irreprensibile, votato al bene comune. Era un pezzo grosso
della Democrazia Cristiana. Gli teneva compagnia solo la sua immancabile
sigaretta.
Il senatore Francesco Martorelli a Cosenza camminava senza
corteo. Bruciante era il suo disprezzo per i mafiosi. Inequivocabile il suo
impegno contro gli interessi particolari.
La teoria della solitudine del politico onesto mi torna
spesso in mente osservando le vicende di molti politici calabresi.
Da Cosenza a Paola, da Vibo Valentia a Reggio Calabria,
sono consegnati alle cronache come una ciurma di individui vezzeggiati,
adulati, corteggiati, usati. Il loro diavolo custode pare averli trasformati in
una combriccola circense: addomesticano sentenze, tramutano l’impegno
universitario in momenti di ridicola convivialità, spostano postini con la sola
forza del pensiero, pilotano appalti senza il rispetto del codice.
La rilevanza penale dei loro atti è di pertinenza della
Magistratura.
Il loro modo di percepire l’impegno politico ci rimanda
invece, come nel gioco dell’oca, ad una casella ove alberga un’ampia area di
correi.
I malandrini della politica hanno infatti il consenso di
una porzione rilevante di calabresi.
Le loro sono perciò colpe collettive, tare etniche!
Una fiumana d’individui di ogni risma e fedina penale in
Calabria pretende che chi “fa politica” diventi mediatore della relazione
dopata, trafficante d’influenze e spacciatore di favori.
Dal canto loro, senatori, deputati, consiglieri regionali e
sindaci, non avendo l’intelligenza ieratica di Mino Martinazzoli o il coraggio
felino di Francesco Martorelli, non sono in grado di opporre resistenza a tali
pretese e si assoggettano viscidi alla richiesta imperante di particulare.
Sempre circondati da schiere di questuanti, appaiono
destinati a non voler sperimentare la solitudine onesta e feconda che conduce,
secondo la teoria di zu Pippinu, al bene comune.
P.S.
Articolo veramente toccante, conciso e significativo... complimenti.
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