martedì 23 giugno 2009

Fervori d'altri tempi

di Francesco Capalbo

Mi è stato chiesto come mai abbia pubblicato sul blog le foto (http://francescocapalbo.blogspot.com/2009/06/san-sosti-corpus-domini-2009vecchi-e.html) della cerimonia del Corpus Domini di San Sosti, fuoriuscendo apparentemente dai binari di una linea editoriale che vuole “Mille storie, mille memorie” impegnata solo sul versante della cultura e non della cronaca o in quello della polemica politica.
Il motivo è semplice: pur rispettando gli aspetti intimi ed alti del momento religioso, mi è parso importante contribuire a documentare quel che “rimane” nelle nostra società dei riti e delle cerimonie che nei tempi passati garantivano visibilità e consenso ai possidenti ed ai ceti dominanti.
In occasione di solennità come quelle del Corpus Domini, nei paesi dell’Italia Meridionale, è infatti possibile riscoprire tracce, anche a livello cromatico o nella foggia delle vesti esibite, di una religiosità ostentata che una volta legittimava il potere delle classi dominanti. Proprio attraverso il “rito dell’ombrello e del baldacchino” l'autorità dei nobili veniva percepita come edulcorata perché si assoggettava al potere divino, ma nello stesso tempo si imponeva come pervasiva e…immodificabile.
Ai giorni d’oggi queste “persistenze antropologiche” raccolgono lo stesso interesse delle tracce biologiche racchiuse all’interno dell’ambra: servono a ricordarci di forme religiose passate che per un giorno tentano di rianimarsi.
A proposito’ di queste problematiche, riporto di seguito un mio articolo dal titolo: “Fervori d’altri tempi”, pubblicato nel 2001 sul Quotidiano della Calabria e nel settembre dello stesso anno su “La Nostra Voce”, periodico diretto, con grande impegno, dal professor Luigi Fiore.

Fervori d'altri tempi

Tempi grami: di disinvolte abiure, di convinzioni che rimangono solide fin quando esibirle costa mezzo centesimo. Poi, basta che il vento cambi direzione ed esse si sgretolano. Neve di marzo! Prendete l’idea Risorgimentale dell’alterità della religione rispetto alle vicende dello stato.
Chi la sostiene più con dignità? È bastato che Bassolino presenziasse in contrito silenzio alla liquefazione del sangue di San Gennaro, che un esercito di replicanti con fascia tricolore ha colto ogni occasione per partecipare a processioni, messe, Te deum di ringraziamento. Sembra questa la nuova frontiera del consenso per un ceto politico meridionale (anche di sinistra!) privo d’identità culturale: “Signori non basta essere buoni. Che la bontà sia esibita ed intrisa di retorica clericale!” Idea nuova o furbizia già sperimentata? Cerchiamo nella bisaccia della storia. In un bel saggio dal titolo: “L’Italia prima dell’Unità (1815 – 1860)” Rodolfo Bracalini mette in luce il rapporto tra consenso religioso da parte dell’élites politica del Regno delle due Sicilie scrivendo : “Le manifestazioni del culto avevano assunto la forma del folclore e della superstizione. Alla processione del Corpus Domini intervenivano tutti i dignitari del Regno e la corte al completo con il re in testa in qualità di capo dello stato”. Quanto la partecipazione a queste cerimonie fosse sincera è Pietro Colletta a farlo notare: “…la religione declinava da che la filosofia avendo attenuate alcune credenze, e il malcostume tutte bandite, restava l’esercizio di pratiche vane non grate a Dio, inutili alla società; preghiere abituali cento volte al giorno ripetute, moto di labbro non di cuore; atti di penitenza non di pentimenti, e insomma superstizioni ( o peggio) ipocrisie, inganni. Questa era la religione del popolo e del re”. Furbizia già sperimentata, dunque. Non sfugga ai replicanti però un sottile particolare: in quei tempi erano i vescovi che giuravano fedeltà al potere temporale e non viceversa.

L’ immagine riproduce la “Processione del Corpus Domini”, olio su tela (cm 37 x 59) di Fortunato Teodorani (Cesena, 1888-1960) .
L’opera è conservata presso la Pinacoteca Comunale di Cesena


© 2009 Francesco Capalbo

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